Come si spiega l'immobilismo della Fiorentina di fronte all'ultimo posto?

Il richiamo della classifica e dei risultati concede pochi margini per ambiguità o doppie letture, in casa Fiorentina: ultimo posto, sette partite di campionato senza ancora trovare un successo, appena tre punti messi in cassaforte e un calendario che - a questo punto - è diventato tutt'altro che alleato dei viola nella risalita (Bologna e Inter i prossimi impegni).
Eppure le doppie letture fanno parte eccome del post-partita di San Siro, del 2-1 arrivato nel finale per il discusso contatto Parisi-Gimenez: da un lato un Daniele Pradè pronto ad addossarsi tutte le colpe ("se c'è qualcuno da cacciare o che si deve dimettere quello sono io"), dall'altro uno Stefano Pioli che - in tutta risposta - carica su di sé le responsabilità di questo avvio, senza nascondersi dietro all'operato della società.
Tutti vogliono essere colpevoli
Scenario opposto rispetto al consueto scaricabarile, alla tendenza di attribuire ad altri le responsabilità per quanto accade: il presente viola ci racconta di protagonisti pronti a immolarsi mediaticamente, senza però che - nel concreto - le prese di posizione si traducano in altro. Lo scollamento rispetto alla piazza si crea proprio qui, nell'attesa - del tutto utopistica e sganciata dalla realtà - di mosse effettive, di passi indietro, di cambiamenti rispetto allo stato delle cose.
Come si spiega l'immobilismo di fronte a una nave che rischia la deriva? Innanzitutto, si è detto a più riprese, la Fiorentina ha investito su Pioli con decisione e ha riposto nel tecnico tutto il proprio patrimonio di fiducia, anche a lungo termine, per costruire un progetto raccontato come ambizioso. Una fiducia persino cieca, a scatola chiusa, che non richiede esami o patenti: il credito, in sostanza, è illimitato (e i 3 milioni di ingaggio a stagione, quelli guadagnati dal tecnico, hanno senz'altro un loro ruolo).
In circostanze classiche toccherebbe alla proprietà far sentire la propria voce, in un senso o nell'altro, per rinnovare la fiducia o per toglierla ma - al momento - l'accoppiata Pradè-Pioli non può essere esautorata poiché si fonda su basi incrollabili: il solo colpo di scena (del tutto ipotetico) potrebbe legarsi alle dimissioni degli stessi, non a decisioni prese dall'alto. Un quadro che si scontra profondamente con ciò che l'ambiente si aspetterebbe, con un deus ex machina che risolva la crisi.
Proprietà-dirigenti: questione di prospettiva
Non si tratta, o ancora non è dato saperlo in via ufficiale, di disimpegno della proprietà in senso stretto ma di una prospettiva diversa della gestione societaria, una visione che vede le varie componenti della dirigenza alla stregua di una famiglia, come parte stessa della proprietà e non come entità esterne: la posizione di Ferrari e Pradè - dunque - non crolla se non per diretta decisione degli stessi. Non è una prospettiva che nasce oggi: lo stesso Pradè è più di un DS ed è stato più di un DS nel corso della storia iniziata nel 2019, con l'arrivo di Commisso.
E, a cascata, la posizione di Pioli non vacilla se non di fronte a una presa di posizione del tecnico: niente di realistico, oggi, se non di fronte a segnali di sfiducia che - decisamente - non sono arrivati. In prospettiva appare complesso, soprattutto rispetto a Pradè, immaginare che l'idillio con la piazza possa riformarsi, a breve termine - però - i responsabili della crisi saranno gli stessi chiamati a lasciarsela alle spalle, senza "eroi" che arrivano da fuori per risollevare le sorti di una stagione nata male. Una prospettiva che, agli occhi della piazza, suona inevitabilmente come immobilismo, persino come assenza della proprietà, acuendo il senso di smarrimento e di frustrazione.
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