Salary Cap in Serie C: caccia ai migliori modelli europei e la differenza con la MLS

  • Sarà attuato in via sperimentale dal 2025-26 e in via definitiva dal 2026-27
  • Si cercherà di prendere spunto dai migliori modelli europei
  • Negli Stati Uniti la visione è totalmente diversa
Matteo Marani, Presidente della Serie C
Matteo Marani, Presidente della Serie C / Image Photo Agency/GettyImages
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In via sperimentale per la stagione 2025-26 - e poi in maniera definitiva dalla stagione successiva - la Serie C introdurrà il Salary Cap. Una delle proposte principali del mandato di Matteo Marani da Presidente della LegaPro. Una misura necessaria per dare un equilibrio economico al campionato di Serie C? Questo è sicuramente l'obiettivo principale della riforma legata ai limiti di spesa per gli ingaggi dei giocatori, una delle voci più pesanti all'interno del bilancio dei club della terza divisione italiana per quanto riguarda le uscite.

E se in Serie A questa voce viene equilibrata - non sempre, a dirla tutta - dagli introiti legati soprattutto ai diritti televisivi, in Serie C il pareggio tra spese e incassi è dovuto in particolar modo alla capacità di generare entrate dagli sponsor. L'adozione di un sistema di Salary Cap ha quindi l'obiettivo di mettere un controllo ai costi legati agli ingaggi. Il Presidente della LegaPro, una volta ottenuto il via libera dall'Assemblea di categoria, ha spiegato che "vorremmo riuscire ad arrivare a metterlo nella stagione prossima, ossia 2025-26, dobbiamo modellarlo e capire anche in base a quali sono i modelli in giro per l'Europa, ce ne sono alcuni validi e funzionanti. Con la finanza non a posto non si può fare calcio".

Ora sarà compito di Matteo Marani e dello staff di Serie C trovare un modello adatto alla terza serie italiana. Non sarà facile per due motivi: il primo è legato alla ragione che ha portato all'introduzione del Salary Cap in Serie C, ossia per una mera questione economica e non di equilibrio di forze in campo (come avviene in MLS, grazie ad un sistema chiuso senza promozioni e retrocessioni, nato per non dare vantaggi a nessuno ma permettere a qualunque franchigia di poter vincere potendo partire ad armi pari ogni stagione), il secondo motivo invece è di organizzazione, ovvero avere un modello di Salary Cap in Serie C senza una continuità con le altre categorie, rischia di creare un po' di confusione nel medio/lungo termine tra squadra retrocesse dalla Serie B - con altri parametri da rispettare - e società in arrivo dalla Serie D.

Significato di Salary Cap

Il Salary Cap, chiamato anche tetto salariale, è la somma massima che una società sportiva, in questo caso calcistica, professionista può spendere per gli ingaggi annuali dei calciatori presenti nella rosa. È un sistema utilizzato perlopiù negli sport americani che hanno un'organizzazione molto diversa rispetto a quelli europei. Negli Stati Uniti infatti le leghe sportive sono chiuse (vedi MLS nel calcio e NBA nel basket, giusto per citare due degli sport più famosi) e non ci sono promozioni e retrocessioni: con il Salary Cap si è creato un modello - anche complesso per certi aspetti - di equilibrio che permette ad ogni franchigia di battagliare ad armi pari (economiche) con tutti, rendendo più incerti i campionati stagione dopo stagione.

I modelli europei: dal Fair Play Finanziario della UEFA al Salary Cap spagnolo

La Serie C non sarà il primo campionato europeo ad introdurre il Salary Cap. A dirla tutta non sarà neanche il primo campionato in Italia. Infatti la Serie B dalla stagione 2013-14 ha introdotto un modello di Salary Cap - modificato nel corso degli anni - molto semplice, non legato a budget annuali ma a parametri precisi sui nuovi contratti e ad una percentuale sul fatturato, nato per rendere sostenibile la seconda divisione italiana a lungo termine, permettendo ai club di fare progetti duraturi, ma con il solito ostacolo delle tre squadre che ogni anno arrivano dalla Serie A e che, di punto in bianco, si ritrovano con introiti nettamente inferiori e spese non sostenibili in Serie B che vengono alleggerite in parte dalla presenza di "paracadute", ossia un piccolo fondo economico che ricevono i club retrocessi per ammortizzare le perdite nel passaggio tra le due categorie.

Il modello di Salary Cap della Serie B prevedeva inizialmente un limite massimo sulla cifra dell'ingaggio dei nuovi contratti, stabilito in 300mila euro lordi l'anno tra parte fissa e bonus (150mila euro lordi di parte fissa e 150mila euro in bonus, divisi ulteriormente in 75mila bonus di squadra e 75mila bonus personali). Parametri che sono stati allettanti nel tempo, ma rimane l'obbligo di rispettare il rapporto tra ingaggi - compreso lo staff tecnico - e il fatturato dell'anno precedente (escluse le plusvalenze da vendita dei calciatori) del 70% - che diventa 50% per le società retrocesse dalla Serie A, mentre per i club promossi dalla Serie C si prende come riferimento il fatturato medio dei club di Serie B dell'anno precedente.

Chi non rispetta questo parametro dovrà offrire garanzie economiche tramite fideiussione e giustificare il motivo dello sforamento.

Il modello spagnolo, che coinvolge le prime due divisioni (LaLiga e Segunda Division), è un po' più complesso a primo impatto. Il Salary Cap introdotto nel 2019-20 su proposta di Javier Tebas, presidente della Liga (che comprende le prime due divisioni), è legato al "limite di costo del personale sportivo" che comprende quindi calciatori, staff tecnico e che al suo interno comprende diverse voci economiche: dagli ingaggi - bonus compresi - ai diritti di immagine (collettivi o individuali) passando per gli ammortamenti derivati dall'acquisto dei calciatori, le quote di previdenza sociale e anche gli ingaggi di giocatori ceduti in prestito ad altre società.

Questo "limite di costo del personale sportivo" non deve essere superiore alla differenza tra le spese non sportive preventivate per la stagione corrente (quindi eventuali affiti, bollette, stipendi dei dipendenti - "non sportivi" - ma anche le perdite della stagione precedente e i debiti non ancora pagati) e i ricavi preventivati in stagione.

I quarantadue club spagnolo di prima e seconda divisione ad inizio estate dovranno proporre e giustificare un budget a disposizione per la stagione per il personale sportivo, ipotizzando quindi i ricavi stagionali e le spese non sportive. L'Autorità di convalida della Liga può approvare o meno il budget indicato.

I club hanno la possibilità di aumentare il budget destinato al costo del personale sportivo tramite un aumento di capitale, ma non tutta la cifra può essere destinata a questo budget: a seconda della situazione finanziaria, solo il 50%, il 65% o l'80% della cifra può essere utilizzata per i trasferimenti. Inoltre la cifra non può essere superiore al 25% del fatturato del club e la cifra dovrà essere utilizzata in quattro stagioni.

In caso di mancato rispetto dei paletti imposti, la società può ritrovarsi con il mercato bloccato in entrata fino a quando non raggiunge i limiti imposti dal Salary Cap spagnolo.

Anche la UEFA a modo suo ha provato a creare un sistema di Salary Cap - un po' più esteso - tramite il Fair Play Finanziario. Un modello modificato più volte, nato con l'obiettivo di abbattere nel medio-lungo termine - i grossi debiti che i club calcistici hanno creato per poter competere sempre più ad altissimo livello.

La UEFA ha il controllo sui bilanci dell'ultimo triennio dei club che si qualificano ogni anno ad una delle tre competizioni europee. Le società che partecipano alle competizioni europee devono rispettare - per non renderla troppo complessa - principalmente una regola: le spese legate agli stipendi di giocatori e allenatori, ai trasferimenti e ai compensi per gli agenti non devono superare il 70% delle entrate del club (si è partiti con il 90% della stagioene 2023-24, l'80% per la stagione in corso e il 70% dalla stagione 2025-26 in poi).

Il mancato rispetto di questo essenziale parametro comporta delle sanzioni economiche e/o sportive. Si va dall'accordo con la UEFA per rientrare nei parametri tramite un progetto economico ben delineato (che comporta delle limitazioni economiche sul mercato e sul monte ingaggi, oltre a sanzioni come la decurtazione di uno o più slot nella composizione della Lista UEFA) fino all'esclusione da una o più edizioni delle competizioni europee se la situazione economica è complicata.

Nel periodo del Covid, la EFL ha provato ad imporre un modello di Salary Cap alle società inglesi di League One e League Two. Un modello bocciato ed eliminato dopo una sola stagione molto più vicino a quello statunitense che a quello europeo, infatti era previsto un vero e proprio tetto salariale - al monte ingaggi annuo - fissato a 2,5 milioni di sterline per i club di League One e 1,5 milioni di sterline per i club di League Two.

Una opzione che ha reso felici i club meno ambiziosi che avevano come obiettivo quello di stabilizzarsi in queste categorie senza dover fare salti mortali - dal punto di vista economico - per competere ad alto livello, invece i proprietari dei club più ambiziosi (e con maggiori ricavi annuali e quindi con più disponibilità economica) hanno puntato i piedi per tornare al vecchio sistema proporzionale al fatturato. Il Tribunale Arbitrale ha accolto il ricorso della PFA annullando il Salary Cap, sostenendo che i limiti di spesa sono illegali.

In Premier League si è a lungo discusso su un modello di Salary Cap per limitare le spese pazze di alcuni club. Quello messo sul piatto dalla federazione è quello di legare le spese dei club per ingaggi, trasferimenti in entrata e commissioni varie ad una cifra corrispondente ad un multiplo (ancora da stabilire: dal 4,5 richiesto dalle piccole al 6 proposto dalle big) della cifra più bassa incassata dal club di Premier League tramite i diritti televisivi nella stagione precedente.

Se nella stagione precedente il club che ha incassato meno dai diritti tv ha messo a bilancio 100 milioni di euro - solo per i diritti tv, allora per calcolare la spesa consentita nella stagione in corso per ogni società bisognerà moltiplicare i 100 milioni di euro per il multiplo stabilito (4,5 o 6?). Il totale (in questo caso 450 milioni o 600 milioni) è la cifra che ogni club potrà spendere tra ingaggi, acquisti e commissioni nella stagione in corso.

Questa idea però al momento è in stand-by. Inizialmente l'ipotesi era di applicare questo modello di Salary Cap a partire dalla stagione 2025-26 ma l'impressione è che i tempi saranno più lunghi.

Il modello statunitense: il Salary Cap della MLS

Il Salary Cap funziona meglio sicuramente in MLS. Nel campionato calcistico statunitense è presente un modello che ha permesso (grazie alla struttura totalmente diversa del torneo rispetto ai singoli campionati europei) di creare una lega equilibrata con ogni squadra - in America chiamata franchigia - che può spendere una determinata cifra, stabilita ad inizio anno, come monte ingaggio stagionale, uguale per tutti.

Il Salary Cap in MLS non è nato per questioni economiche ma, come già detto inizialmente, essendo un torneo chiuso senza promozioni e retrocessioni è stato introdotto per livellare il torneo e renderlo imprevedibile avendo tutti i club le stesse condizioni economiche. Con il tempo, per alzare il livello della MLS, sono state introdotte delle regole che hanno permesso di ovviare - in piccola parte - alle limitazioni. Con la Regola Beckham per esempio è stato dato il via libera all'ingaggio di un giocatore a cifre decisamente più alte rispetto alla media della rosa, non dovendolo inserire nel monte ingaggi totale del club. Nel corso degli anni i giocatori "esclusi" dal monte ingaggio annuale del club sono diventati tre.


La sfida di Marani e della LegaPro sarà quella di trasformare una misura economica in una opportunità sportiva, garantendo sia sostenibilità che competitività. Il Salary Cap riuscirà a salvare la Serie C dal baratro economico o finirà per limitarne la crescita? Le seconde squadre dei club di Serie A, già presenti nella terza divisione italiana, avranno dei vantaggi? Come sarà gestita la situazione?