Zlatan Ibrahimovic, la storia della Ibra Supremacy
Semplicemente iconico. Spirito del calcio, incarnato in un metro e novantacinque di irresistibile impellenza, arroganza e attitudine. Iconico è: sapere che un giocatore verrà ricordato nella storia prima ancora che la storia si concluda. Ibrahimovic è inclinazione naturale ed estro, ma è anche molto più di questo. Ibra è Ibra. E non invecchierà mai.
Nato nell'ottobre del 1981 in Svezia, cresce in un sobborgo da film, un calderone di etnie e ritratto di un'infanzia difficile, a contatto con la criminalità giovanile che Zlatan conosce personalmente. Residente di un disagio sociale che vivrà per tutta l'adolescenza, saturo, per le condizioni difficili e i problemi familiari. A 13 anni viene arruolato nella squadra della sua città, dove spicca immediatamente e prende una boccata d'aria che lo salva dall'apnea di un presente mesto e disilluso. Fino a quando nel 2001 viene notato ed acquistato dall'Ajax, e da lì inizia la leggenda dello svedese che ovunque vada sconvolge le squadre, addizionando un talento, ma soprattutto una fame che neanche i fuoriclasse hanno. Non è solo il piede a fare il gioco, quello ammaestra la palla, ma sono l'attitudine e la consapevolezza a costruire le partite, e sono doti che Ibra ha sempre avuto e portato in ogni Team nella quale abbia giocato. Dall'estate 2004 cavalca i campi italiani, conosce Mino Raiola e si unisce prima alla Juventus, dove diventa immediatamente un pezzo preziosissimo della rosa, poi all'Inter dove l'impeto tocca vette eccelse. Nel 2009 vola in Spagna a collezionare un'altra maglia, quella del Barcellona. Un anno dopo torna in Italia, in prestito al Milan di Allegri, dove vince anche il titolo di "miglior calciatore assoluto" della stagione 2010-2011, diventando leggenda.
Nel 2012 viene acquistato dal Paris Saint German, a trent'anni ancora si crede in lui, perché il suo nome ormai è una garanzia. E la scommessa che vale 21milioni di euro viene stravinta dal PSG, quando Ibra diventa capocannoniere del campionato, giocatore cardine e spettacolo della Ligue 1 con 156 gol e 4 campionati vinti. Nel 2016 passa al Manchester United, per solcare i campi inglesi, e poi mancano quelli americani, che si aggiudica nel 2018 con la maglia del Los Angeles Galaxy, dove diventa anche capitano. Nel 2019, a 39 anni, quando tutti lo danno ormai per finito, il Benjamin Button del calcio smentisce il popolo, e dimostra di non aver esaurito ancora le carte da giocare. Torna al Milan, dove ribalta completamente una squadra dissipata, prendendola a carico e trainandola dall'ombra più cupa, fino a rivedere le luci di San Siro, che non splendevano così da tempo.
Una biografia tetra, che non crea un uomo, ma un personaggio, un'autorità. Un riscatto personale che nessuno riuscirà mai a comprendere se non lo stesso Ibrahimovic, un agonismo fiero, ispido e a volte insolente che lo segue come un'ombra, ma lo valorizza come luce. Lo svedese è stato etichettato in ogni modo possibile; Infedele, mercenario, sbruffone, testa calda, prevaricatore. Lo è. Non è la classica bandiera, anzi, è tutt'altro, eppure il suo nome è così grande che tutte le increspature caratteriali e i difetti di gioco formano un mosaico che crea il giocatore completo e inarrivabile che è Ibra. Sintomatico è il fatto che non abbia mai vinto un Pallone d'oro, ma sia comunque un simbolo del calcio moderno.
Ha vestito tutti i colori, ma il giorno in cui Ibra darà l'addio al calcio sarà un giorno infausto per il calcio di tutto il mondo, ma sarà il momento in cui veramente il re potrà smettere di solcare questi campi, per ascendere all'olimpo del calcio, diventando a tutti gli effetti un dio. Sarà il giorno in cui le maglie con scritto "Ibrahimovic", avranno il valore di una bandiera, e l'assertività di un monumento.
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