Vent'anni...

Gabriel Batistuta segna e dà il via alla festa giallorossa
Gabriel Batistuta segna e dà il via alla festa giallorossa / 90min Italia
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Vent'anni. Già vent'anni. Se ripenso a quel 17 giugno del 2001 la prima cosa che mi viene in mente è il silenzio. Roma era calda, muta, sembrava deserta. I passi sull'asfalto nella camminata con mio nonno verso Ponte Duca D'Aosta, rimbombavano come il ticchettio di una bomba pronta esplodere poco dopo. "Prendiamo la più grande, quella a scacchi", disse convinto nonno al signore della bancarella di fronte all'obelisco.

Elettrizzato, la strinsi tra le mani, ma prima che iniziassi a sventolarla, intervenne mio padre deciso: "Non la sventola', che prima porta male", mi disse mentre comprava anche un paio di trombette. Avevo 11 anni e Roma-Liverpool e Roma-Lecce, non sapevo ancora cosa fossero. La mia incoscienza camminava in mezzo alla prudenza di chi prima di me aveva assaporato il successo per poi vederlo svanire all'improvviso.

La loro tensione, seppur visibile, non scalfiva neanche un po' le mie certezze di romanista in erba: la Roma avrebbe vinto. Avevamo Totti, Batistuta, Montella e una città pronta a spingere la palla in rete, eravamo primi dalla prima giornata, come potevamo perdere? Proprio per questo, senza dare troppo retta alle loro scaramanzie, io la maglia del Re Leone, me l'ero messa appena sveglio.

La partita fu un lampo e nonostante abitassimo vicinissimo allo stadio non riuscimmo a trovare posto per tutti: quindi casa, divano, Stream e passione. 3 boati scandirono il tempo di quel pomeriggio. Il primo per scacciare via tutti gli incubi del passato, il secondo a metà tra la tranquillità e la prudenza di una città che in un anno non aveva mai pronunciato la parola Scudetto, sostituendola con un più fantasioso Trukke trukke venuto fuori da qualche radio quasi per caso. Poi il terzo, quello più atteso a decretare la vittoria. La zampata di Bati, l'Arcangelo Biondo, era il sigillo che metteva fine a un attesa lunga 18 anni. La gente iniziò ad affacciarsi alla finestra e dall'Olimpico partì un coro che si estese presto in tutta Roma: "Siamo noi, siamo noi, i Campioni dell'Italia siamo noi".

Prima del fischio finale di Braschi, il gol di Di Vaio passò quasi inosservato, mentre l'invasione di campo le urla di Capello riportarono tutti sulla terra, almeno per qualche minuto. Perché poi Braschi fischiò davvero e Roma tornò a volare.

Uscimmo immediatamente in strada e la mia bandiera a scacchi poteva finalmente sventolare tra migliaia di bandiere. Nel tratto che portava da Via Flaminia a Piazza del Popolo riuscii a farmi regalare anche una zolla dell'Olimpico che conservai per un sacco di tempo.

Una marea umana che saltava, cantava e si abbracciava. Aveva vinto la Roma e Roma era completamente in delirio. Piazza del Popolo, Pincio, Piazza di Spagna e poi dritti fino a Piazza Venezia.

Mentre tornavamo a casa papà mi disse: "Fai bene esse contento, mo' goditela e non te c'abitua' " .

Fu festa tutta l'estate a Roma nel 2001, ogni sera in una piazza diversa.

Se mi avessero detto quel giorno che sarebbe passato così tanto tempo non ci avrei mai creduto...e invece eccoci qua, sono passati vent'anni!

Vent'anni in cui per tantissime volte ho pensato che avrei vissuto ancora una giornata come quella, ma per minuti, per centimetri e per dettagli aspetto ancora...

Del resto esser romanisti significa avere dentro tanto amore da riuscire a credere sempre che prima o poi sarà ancora il nostro momento.

La Roma non si sceglie, è un viaggio tra nonno e papà con la bandiera in mano aspettando il momento giusto per poterla sventolare...ed è talmente bello, che non ci si abitua mai!


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