L'uomo dell'andata delle semifinali di Champions: Kanté, il mediano tuttofare ha stregato un altro allenatore
I report statistici di una partita raramente mentono. O meglio, può succedere, come quando una squadra ha l’80% di possesso palla, ma non finalizza e viene beffata. Roba da La Dura Legge del Gol, ma che può verificarsi anche nella realtà. In una semifinale di Champions, però, i numeri vanno letti con attenzione. Così se in casa del Real Madrid il Chelsea ha tirato di più rispetto agli avversari, in totale e nello specchio e se era da due anni che i Blancos non chiudevano una gara europea con un solo tentativo nella porta avversaria, peraltro vincente, si potrebbe pensare ad un Chelsea versione Fort Apache, come quello di Roberto Di Matteo che uscì stoicamente dal campo a Barcellona nel 2012 prima di vincere la Champions League a Monaco contro il Bayern.
Se però si va avanti a leggere i dati e si nota un possesso palla quasi uguale, al pari del numero dei passaggi e un numero superiore di calci d’angolo la realtà appare ben diversa. I Blues hanno giocato nella tana del lupo come meglio non avrebbero potuto a livello di coraggio e organizzazione tattica, peccando solo in fase di finalizzazione. Un’impalcatura perfetta quella costruita da Thomas Tuchel, imperniata su una cerniera di centrocampo ottimamente amalgamata.
Un play moderno come Jorginho, una mezzala completa come Mount e un mediano incursore come Kanté. Già, il campione del mondo ha incantato al “Di Stefano”, legittimando il sogno di Antonio Conte di tornare ad allenarlo all’Inter dopo l’esperienza londinese. A 30 anni appena compiuti l’ex Leicester sembra essere riuscito a conquistare un altro allenatore, dopo lo stesso Conte, dopo Didier Deschamps che ne ha fatto un perno insostituibile della Francia iridata in Russia nel 2018, dopo Maurizio Sarri e ovviamente dopo Claudio Ranieri ai tempi delle Foxes. Tuchel si guarda bene dal rinunciare alla propria bussola, che contro il Real è andato ben oltre i suoi compiti da interditore, buttandosi negli spazi con coraggio e mandando fuori giri l’aggressività dei centrocampisti avversari.
Se il Madrid ha dovuto impostare una gara sul ritmo, poco nelle corde dei solisti della mediana di Zidane, il merito è della cerniera di centrocampo di Tuchel nella quale il francese avrebbe dovrebbe fare il portatore d’acqua. Niente di tutto questo, o meglio non solo questo, perché il francese conferma di non essere campione del mondo per caso smentendo coloro che lo davano sul viale del tramonto attraverso una prestazione di inesauribile spessore atletico e di grande intelligenza tattica che lo vede pressare con i tempi giusti senza però rinunciare a cercare e trovare gli spazi per inserirsi.
Gli è mancata solo la vetrina del “Bernabeu”, ma in altri tempi sarebbe stato l’elemento ideale per completare il Real dei Galacticos e Florentino Perez non può non averlo pensato. Nell’anno dell’Europeo arrivarci con una finale di Champions o magari col titolo sarebbe il modo migliore per cercare di dimenticare la delusione del 2016 e di quella finale saltata contro il Portogallo causa misteriosa scelta tecnica di Deschamps. Per il futuro si vedrà. Di certo se Conte ha visto la partita Suning dovrà prepararsi a bussare a casa di Roman Abramovich…
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