Marchisio: "Dybala si sente in debito. Locatelli? No paragoni. Juve, è il momento di compattarsi"

Claudio Marchisio
Claudio Marchisio / ANP Sport/Getty Images
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Intervista a Tuttosport per Claudio Marchisio. L'ex centrocampista della Juventus ha parlato dei suoi progetti ma anche della nuova avventura in bianconero di Max Allegri, dicendo la sua sull'arrivo di Manuel Locatelli, di Kean, Morata e tanto altro ancora.

Queste le sue parole:

Cosa fai da grande?

"Ho le mie attività e seguirle mi impegna parecchio. E il calcio? Fare l’opinionista mi piace molto. Mi basta questo. Per ora". 

Napoli-Juve?

"Dipende da ognuno di loro. Dalla concentrazione, dallo stare sul pezzo, dal carattere che riesci a mettere sulla partita. Al di là della condizione atletica, della tattica, della tecnica. Non devi sbagliarla a livello di testa e di cuore. Anche perché se perdi colpi, in situazioni del genere puoi anche prendere delle saponate storiche. Ma devi andare lì, compatto e convinto, senza pensare troppo". 

Allegri è il valore aggiunto?

"Certamente! E’ uno che sa benissimo come rimettere in carreggiata tutti, amalgamare il gruppo e non pensare al calendario e a cosa è successo prima. Isolare la partita dal contesto. Non devono pensare al punto in classifica, solo al Napoli e a vincere. Panico in caso di sconfitta? No, non deve scattare. Ma siccome conosco l’Italia calcistica so che qualcun altro, il panico, lo instillerebbe. Processi, condanne, critiche feroci. Tuttavia alla Juventus sono abituati e saprebbero gestire la situazione che, senza ombra di dubbio, sarebbe complessa con un punto in tre partite. Poi bisogna capire come si perde. Per me l’importante è vedere la Juventus di Udine: dura e cinica, presente a se stessa. Voglio vedere quella partita".

Locatelli?

"Manuel è una mezzala. Per me può anche stare davanti alla difesa, però più da filtro, da schermo, perché anche in Nazionale lo vedevo dare una mano a Jorginho, ma più in fase di interdizione che di costruzione. Quindi io lo vedo meglio come mezzala che entra negli spazi, si inserisce e conclude anche a rete, sfruttando le sue caratteristiche. Come Bentancur, peraltro. Perché lo spostamento davanti alla difesa nell’anno di Sarri gli ha forse impedito l’ultimo passaggio per diventare una grande mezzala, come aveva fatto intravedere l’anno precedente con Allegri".

Pesa il paragone Marchisio-Locatelli?

"Ma no! Manuel si è già bruciato una volta con il Milan e ha avuto la forza e l’umiltà di ricominciare dal basso e da lì conquistarsi la Nazionale e ora la Juventus. Non credo che debba pensare ai paragoni con me o con altri, deve essere Locatelli e basta, stare dieci anni alla Juventus e ispirare altri ragazzi, come è capitato a me".

Arhur?

"Ma si può anche giocare a due, anzi sono sicuro che Allegri ci abbia anche già pensato. Arthur può essere una soluzione, anche molto interessante, viste le qualità del giocatore, ma deve tornare ed essere subito disponibile e pronto a prendersi le chiavi della squadra. Quest’anno la Juventus non può aspettare nessuno, è troppo importante fare risultati".

E' da Juve?

"Come umanità e come grinta, sì. Ma non basta. Poi vai in campo e devi dimostrare altro e questa è una stagione complicata. Forse anche più complicata di quella con Pirlo l’anno scorso, quindi entra in un contesto non semplice, ma avrà grandi insegnanti come Chiellini e Bonucci. Però sono ottimista: Locatelli, così come Bernardeschi, Chiesa e magari anche Kean possono formare il nuovo zoccolo duro italiano che porti avanti la tradizione vincente. Le premesse ci sono".

Chiesa ha lo spirito Juve?

"Vero. Lui è già molto determinante. Ha qualità fisiche straripanti. Quando parte è micidiale. L’anno scorso mi divertiva vedere come Ronaldo la desse subito a lui, che riusciva a portare la palla molto velocemente in area. Era come se gli dicesse: vai avanti, che io arrivo con più calma per concludere. E spesso, effettivamente, Federico portava il pallone fino all’area avversaria. Deve però migliorare nella visione di gioco. Non tiene ancora il campo nel modo giusto, nelle partite difficili, preparate bene dagli avversari che magari sono a specchio. Non riesce a trovare la sua posizione, ma ha il tempo e la determinazione per imparare. Anche da Chiellini". 

Claudio Marchisio
Claudio Marchisio / Paolo Bruno/Getty Images

Kean più maturo?

"Sì, l’ho visto più determinato e concentrato. La mancata convocazione all’Europeo è stata una bella scoppola e il ritorno alla Juventus per lui è la grande occasione, non credo che la sciuperà. E’ uno che ha fisicità e scatto, vede la porta, forse non è tanto prima punta. E’ una stagione chiave per lui, conto sulla sua voglia di riscatto". 

Morata importante?

"Certo! E’ uno che segna sempre gol pesanti. Anche lui, tuttavia, si trova davanti a una stagione nella quale cambiare definitivamente marcia. Trovare la continuità che spesso gli è mancata, mostrare più cattiveria agonistica nel corso della stagione. E’ arrivato a un’età nella quale un grande campione inizia il periodo migliore, quello che poi rimane nella storia. Deve esserne consapevole e sfoderare l’annata migliore della sua carriera". 

Tutto su Dybala?

"Certo, molte responsabilità ricadranno su Paulo, inevitabilmente. E lui lo sa. Sì, ci sentiamo ogni tanto. Ho capito che lui è perfettamente consapevole di cosa lo aspetta. E si sente in debito nei confronti della Juventus per la scorsa stagione. Deve essere l’anno in cui diventa affidabile". 

Cristiano Ronaldo?

"Dipende molto dal progetto di Allegri perché, senza CR7, perdi tanti gol e un giocatore di spessore davanti. Adesso cambia e forse ci sarà un po’ di equilibrio maggiore in tutti i reparti. E davanti devono sentirsi più responsabilizzati per sopperire ai 35 gol, per quanto devono incrementare la quota gol anche i centrocampisti. L’Inter insegna che lo scudetto si vince anche con i gol che arrivano da lì: Barella, Brozovic, Eriksen hanno segnato gol pesanti nel finale di stagione".

Lo Stadium?

"Quella notte me la ricorderò per sempre. Non giocavo l’amichevole con il Notts County perché chi giocava tre giorni dopo la prima di campionato con il Parma era in panchina. E le panchine erano, come sappiamo bene, incastonate nelle tribune. Per cui ho vissuto quella sera come un tifoso della Juventus che vede il nuovo stadio. E mi sono emozionato. E’ stata una serata magica, venivamo da un periodo brutto, da due settimi posti, ma quella sera tutto si azzerava, ci sentivamo grandi. Quella sera ha avuto un effetto nella stagione del primo scudetto di Conte, così come lo Stadium. Ora più freddo? Un male, perché nei primi anni del ciclo fu il dodicesimo uomo nel vero senso della parola. Era stato un fattore decisivo nella vittoria finale. Ora, che la squadra deve iniziare un nuovo ciclo, sarebbe importante che i tifosi capissero quanto possono essere importanti nel lanciare questa squadra e i giovani in particolare. Nelle notti di campionato e di Champions".

San Pietroburgo?

"In Champions? Bella partita, di ricordi e di emozione. Anche se sono stato solo un anno allo Zenit, resto molto legato al club e ai miei ex compagni. Me la sentivo quasi. E’ una sensazione particolare, ma bella. I rischi? Non il freddo. Con lo stadio coperto e climatizzato a 18 gradi costanti non c’è il rischio del gelo russo. Per il resto lo Zenit è una bella squadra, solida, anche se il livello tecnico è inferiore a quello della Juventus. Hanno nuovi sudamericani. E’ una squadra che ha buona qualità, non eccelsa, ma buona. In compenso hanno grande fisicità e poi l’ariete Dzyuba, un giocatore fondamentale per loro, perché è un attaccante forte fisicamente, efficace non solo come finalizzatole ma anche come boa di salvataggio, perché nelle difficoltà le riesce a prendere tutte lui. E’ un centravanti atipico, perché fa molti assist, spesso per Azmoun, l’altro attaccante, più veloce e scattante, e in generale è sempre pronto a dare una mano alla squadra. Il gioco passa moltissimo da lui. Non è un avversario semplice. Per nulla. Quello della Juventus è un girone non facile, poi la superiorità tecnica è evidente".

Opinionista Champions?

"Mi piace molto. E’ bello e voglio approfondirlo. La partenza da commentatore fu ad Amsterdam con l’Olanda, nelle qualificazioni, e rientrare in uno stadio senza pubblico, sentire le grida dei miei compagni in campo era stato brutto. Quasi da non provare emozione per una partita di calcio. Poi è stato un crescendo e quando all’inaugurazione prima di Italia-Turchia ho sentito l’Olimpico cantare l’inno mi sono commosso. Erano solo quindicimila, ma sembrava il Maracanà pieno con 100mila spettatori. All’inizio era stato drammatico, vedere il mio mondo in stato di coma, poi l’apoteosi della finale, un cerchio che si è chiuso in modo meraviglioso".

Chiellini?

"Una sera prima delle semifinale sono andato in albergo. E l’ho visto sereno. Aveva il volto di uno che non sentiva nessuna pressione. La faccia che diceva: “Ci siamo, tranquillo, ci siamo e vinciamo”. Quando senti che stai bene, senti che la porti a casa. L’unico momento difficile, per me, è stata la partita con l’Austria: lì eravamo cotti, se non ci salvava il Var su quel gol eravamo fuori. Ma superato quell’ostacolo, il gruppo aveva ritrovato smalto e consapevolezza e il finale è stato un’apoteosi".


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