Buffon: "Juve, da Trieste a Cardiff a Madrid: che emozioni. C'è una cosa però che mi ha infastidito"

Gigi Buffon
Gigi Buffon / Danilo Di Giovanni/Getty Images
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Intervista a Juventus Tv per Gigi Buffon, portiere della Juventus che lascerà il club bianconero. L'estremo difensore infatti non ha rinnovato il suo contratto con la Juve e ora dovrà decidere cosa fare: andare a cercare una nuova esperienza oppure smettere definitivamente. Ecco le sue parole riprese da ilbianconero.com.

Finale di stagione?

È stato un bel finale, se avessimo perso ci sarebbe stato quel qualcosa di stonato che in una serata simile non mi avrebbe fatto piacere, invece così viene quasi suggellato un fine rapporto con una bellissima vittoria e grandi scene di empatia, amicizia e stima, tra me e i miei compagni”.

L'addio?

È stato un addio molto sereno, ormai è qualcosa che avevo già vissuto in termini diversi tre anni fa. È una sorta di deja-vù. L’ho vissuta con molta naturalezza, ma penso anche la gente. In questi due anni, il fatto che sia tornato, lascia nell’immaginario collettivo l’idea che uno se ne può andare, ma può anche tornare. La paura della gente è quella di sentirsi abbandonati in certi momenti".

Un ricordo specifico?

Molti dicono la Serie B, ma io non ci ho mai dato troppo peso. Le cose le faccio in maniera istintiva, ho sensazioni animalesche che mi fanno capire cosa è giusto e cosa è sbagliato fare”.

Hai mai pensato che sei uno dei più forti portieri di sempre?

Non ho mai pensato a questa etichetta, anche se mi fa piacere. Ti fa capire che sei sulla strada giusta, il giudizio degli altri ti può aiutare a dare quel qualcosa di aggiuntivo. Il calcio è cambiato tantissimo, è più difficile rispetto ad altre epoche, ma ci sono strumenti di allenamento che oggi aiutano di più un portiere. Voler per forza trovare il più bravo è un qualcosa che trovo poco sportivo. Le icone restano tali. Pelè, Maradona, Messi, Cristiano... sono stati giocatori stratosferici, non c'è bisogno di trovare il migliore per forza”.

Il momento migliore alla Juve?

Il momento in cui sono stato più felice è stato a Trieste, quando abbiamo vinto il primo scudetto con Conte. Perché quello era la chiusura di un cerchio, dava forza e dava un senso anche alle scelte che avevo fatto io personalmente, come giocatore. Abbiamo fatto un ciclo incredibile, ma alla fine non potevo non avvilupparmi al pensiero di dire: campione del mondo nel 2006 potevo andare da qualsiasi parte. Ma ho sposato questa causa perché ci credevo e pensavo di poter tornare a vincere con la Juve. 6 anni non sono mica facili. Ogni tanto qualche pensiero mi era venuto, la verità è che però dentro di me coltivo una fede che mi dice: comportati bene, fai le cose in maniera corretta con gli altri, la vita poi ti ridà tutto, in eccesso anche. In effetti, è stato così”.

Gianluigi Buffon
Gianluigi Buffon / Jonathan Moscrop/Getty Images

E il momento più brutto?

Il momento più doloroso è stato Cardiff, non perché abbiamo perso che ci sta, ma perché ci siamo disgregati, ci siamo sciolti come squadra nel secondo tempo. Mi è dispiaciuto perché hai dato la sensazione di non essere competitivo per quel massimo livello, che invece non era così. Noi alla fine due anni prima avevamo fatto partita con il Barcellona, potevamo fare lo stesso con il Real Madrid. Ma un discorso è perdere 1-0, un altro perdere 4-1 dando la sensazione di essere degli scappati di casa. Per orgoglio è stata una cosa che mi ha fatto male. L’altra cosa che mi ha fatto male è stata l’espulsione dopo il 3-1 a Madrid. Quella è stata la serata più bella della mia vita in bianconero, solo una squadra di folli poteva pensare di andare a Madrid e aggrapparsi allo 0,1% di speranza di passare il turno. Noi ce l’avevamo, le dinamiche erano particolari e ci rimanevamo aggrappati. Quello 0,1 era diventato un 95. Dentro di me quella sera lì, ero orgoglioso di giocare in una squadra del genere fatta da uomini così. Orgoglioso di essere il capitano di quella squadra”. 

Hai mai pianto per la Juve?

Difficilmente piango per un risultato. Quello che mi fa male è come avviene un risultato. Quindi, ritornando a Madrid, è la partita più bella che ricorderò con la Juve. La gente si è sentita orgogliosa di quella squadra”.

A Parigi?

Non ho mai guardato la Juve a Parigi. Era troppo fresco il distacco e ci vuole del tempo. Anche la Nazionale non l’ho quasi mai guardata. Credo che certi passaggi debbano avvenire e fanno tornare ad un equilibrio solo col tempo. Parigi è stata un’esperienza bellissima che rifarei, mi ha dato tanto dal punto di vista umano, mi ha dato sicurezza come persona. Mi sentivo un cittadino del mondo. Dal punto di vista sportivo ho giocato in una squadra stratosferica tecnicamente. Mostruosi. Neymar, Mbappé, Thiago Silva, Marquinhos, Verratti. Vedi certe cose…”.

C'è qualcosa che ti ha infastidito?

"Una cosa che mi ha disturbato è stata che l’entusiasmo della squadra quest'anno è venuto un po' meno con le prime difficoltà. I veri tifosi non devono affossare la squadra alla prima difficoltà. Se tifo Juve i miei giocatori sono i più forti fino a maggio, non fino a febbraio. Mi hanno disturbato anche i commenti sul mio impiego contro il Barcellona: 'Gioca Buffon perchè è amico di Pirlo'. Regali non ne voglio, sentire che qualcuno dubitava mi ha spinto a lasciare la Juve".

Futuro?

"Ho bisogno di riposare e mettere nel mio serbatoio energie nuove. Non voglio pentirmi di qualunque scelta farò. Se sono felice oggi? Sì molto, sono felicissimo, non chiedo di meglio. Posso anche smettere, penso di aver fatto abbastanza nella mia carriera". 


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