Il tecnico che scoprì Lukaku: "Con Conte è protagonista. Non penso lascerà l'Inter"
Alla Gazzetta dello Sport è intervenuto Ariel Jacobs, il tecnico che lanciò Romelu Lukaku con la maglia dell'Anderlecht a soli 16 anni. "Come faccio a descriverlo a parole? Ho un ricordo bellissimo di Romelu, ho una stima infinita per il giocatore ma soprattutto per la persona - le parole di Jacobs riportate da Fcinternews.it -. Si è prima esseri umani, poi calciatori. La sua umanità è stata la qualità che più ho apprezzato e speravo che gli permettesse di arrivare in alto".
E non è affatto scontato che questo accada.
"Ci sono qualità che non si trovano nei calciatori giovani e che lui aveva: era paziente, apriva occhi e orecchie, capiva sempre cosa stava accadendo intorno a lui. Ha avuto sempre un’enorme voglia di imparare".
All’Inter fa tanti assist, oltre ai gol.
"Un attaccante deve essere prima di tutto egoista. Se non lo è, non è un buon attaccante. La cosa più importante è che un attaccante segni, la seconda è che crei spazio per i compagni. Romelu cerca il gol, ma se non è nelle condizioni cerca di far segnare gli altri. La cosa che mi stupisce di più è la continuità con cui segna in un calcio, quello italiano, in cui la fase difensiva è un’arte. Poi, anche lui ha avuto partite difficili, ma succede a tutti: anche a Messi e Ronaldo".
Quanto è importante in questo senso la presenza di Lautaro?
"Conte li ha messi vicini, li ha fatti lavorare bene insieme. Romelu ha bisogno di sentire la fiducia da parte dell’allenatore, ma anche dei compagni: si vede chiaramente, quando segnano lui o Lautaro, che tra i due c’è un legame fortissimo".
E Conte?
"Un attaccante come Lukaku ha bisogno di sentirsi importante e all’Inter è successo grazie a Conte: gli ha parlato tanto e l’ha fatto sentire centrale. È stato un inizio decisivo: ha creduto in lui e l’ha convinto andare da lui".
Si ricorda la prima partita?
"Nel 2008/09, noi e lo Standard Liegi abbiamo chiuso il campionato a pari punti: ci siamo giocati il titolo in un doppio scontro diretto alla fine della stagione. All’andata, in casa nostra, è finita 1-1. Romelu giocava nella seconda squadra, ma l’ho chiamato per il match di ritorno: pensavo che avrebbe potuto fare la differenza. Se fossimo stati in vantaggio, avrebbe potuto sfruttare gli spazi; se avessi bisogno di qualcuno per segnare, l’avrei inserito per aggiungere un attaccante. Non aveva ancora giocato in prima squadra, ma ero spesso andato a vederlo giocare nel corso della stagione. L’ho inserito a una ventina di minuti dal termine, eravamo sotto 1-0: non ha segnato e abbiamo perso, ma mi ha dato la conferma che era un ragazzo su cui puntare".
C’è il rischio che ora, vinto lo scudetto, abbia bisogno di altre motivazioni? Magari altrove…
"No, non è il tipo di ragazzo che ha bisogno di ulteriori sfide esterne. È perennemente in sfida con se stesso. Per esempio, tornando alle critiche: nelle sue parole non sentirai mai che vuole vincere per prendersi una rivincita nei confronti di chi se la prendeva con lui. Penso che il primo obiettivo sarà fare bene in Champions League e vedere che risultati può raggiungere, oltre a vincere ancora lo scudetto".
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