Litigi, infortuni e contestazioni: 20 anni fa l'ultimo scudetto della Roma
È il 17 giugno 2001 e a Roma regna un insolito silenzio. Per strada, i turisti stranieri si rendono conto che non vola una mosca e che in giro non c'è nessuno. "Sarà per il caldo eccessivo" pensano gli ingenui visitatori, mentre l'unico suono che sentono è quello dei gabbiani che sorvolano Castel Sant'Angelo. Quel 17 giugno diventerà un giorno storico per i tifosi giallorossi.
Se nelle bellissime vie del centro storico non c'è anima viva è perché gran parte dei cittadini è allo Stadio Olimpico oppure a casa con le orecchie puntate alla radio. La Roma gioca col Parma. Una sfida che vale lo Scudetto.
Ma prima di raccontare lo svolgimento di quella partita (sulla quale si potrebbe scrivere un articolo a sé), facciamo un passo indietro e raccontiamo come siamo arrivati a quel 17 giugno 2001.
Tutto ha inizio il 14 maggio del 2000. La Lazio di Sven-Goran Erikson, Roberto Mancini, Pavel Nedved e Alessandro Nesta viene incoronata campione d'Italia per la seconda volta nella sua storia. Veder trionfare gli acerrimi rivali nell'anno del Giubileo è un'onta troppo grande per i romanisti, ma lo è ancora di più per un uomo venale e passionale come Franco Sensi. Il patron della Roma non riesce a darsi tregua e per l'anno successivo grida vendetta.
In estate Sensi decide di investire pesantemente sul mercato, manco fosse uno sceicco. Arrivano nella capitale Walter Samuel, Jonathan Zebina, il Puma Emerson e soprattutto Gabriel Batistuta, per il quale viene firmato un assegno da 60 miliardi di lire alla Fiorentina. Questi giocatori vanno ad aggiungersi ai vari Totti, Montella e Candela, tutti sotto la guida sapiente di Fabio Capello. Le premesse sono delle migliori, ma come spesso accade in casa Roma è facile passare dall'entusiasmo alla preoccupazione.
Durante un normale allenamento di fine agosto, il silenzio di Trigoria viene squarciato dall'urlo di Emerson; il brasiliano si tocca il ginocchio: rottura del legamento crociato anteriore sinistro. Il Puma doveva essere il perno del centrocampo giallorosso, ma starà fuori dai 6 agli 8 mesi. La tifoseria giallorossa ha però un debole per lui e, in occasione dell'amichevole contro l'AEK Atene, quando le telecamere inquadrano il giocatore in tribuna, gli dedicano un applauso scrosciante. Emerson scoppia a piangere e giura che non dimenticherà mai quel momento. Purtroppo invece lo farà.
Per quanto riguarda Batistuta, si sapeva che l'arrivo di un giocatore così forte e carismatico avrebbe scombussolato lo spogliatoio. A pochi giorni dall'annuncio, Franco Sensi implora la stampa di non rendere noto lo stipendio dell'argentino, "altrimenti chi se lo sente Totti". Poi è il turno del battibecco con Montella: l'aeroplanino teme che per colpa di Batigol troverà sempre meno spazio e quando dice "quella maglia è mia" sembra giurargli battaglia. D'altro canto, manco Batistuta sembra disposto al dialogo: "Parla così, ma non sa che entro un paio di mesi andrà via".
A calmare gli animi nello spogliatoio è Francesco Totti che, appena saputa la notizia dell'approdo di Batistuta a Roma, rivela: "Se vuole il mio 10 non c'è problema, io sono disposto a prendere il 20". Secondo Andrea Romano del Fatto Quotidiano, il 2001 ha segnato il passaggio di Totti da semplice capitano della squadra a leader vero e proprio. In precedenza indossava semplicemente la fascia al braccio, ma da allora ha iniziato a darle veramente un valore.
La nuova leadership di Totti si mostra tutta a fine settembre, quando la Roma viene eliminata prematuramente dall'Atalanta in Coppa Italia e una folla di tifosi manifestanti invade Trigoria. Il Capitano accetta le critiche dei tifosi, sa che hanno ragione, ma li esorta anche a sostenere la squadra, promettendo un grande campionato.
La Roma del 2001 era forte, sia chiaro, ma descriverne lo stile di gioco appare parecchio ostico. A volte brillava grazie al singolo, altre per merito del gruppo. In una partita si chiudeva in difesa, in quella successiva si buttava in avanti: ogni settimana era una Roma diversa, capace di cambiare pelle a proprio piacimento.
L'evento clou è stata senz'altro la gara contro la Juventus del 6 maggio. La Roma arrivava con sei punti di vantaggio sui bianconeri, ma dopo 6 minuti si ritrova sotto 2-0. Al 33' della ripresa, Capello effettua una sostituzione: fuori Totti, dentro Nakata. È una mossa contro ogni senso logico, ma alla fine ha avuto ragione Don Fabio. Il giapponese prima accorcia con un gol, poi illumina l'attacco propiziando il pareggio. Il vantaggio sulle inseguitrici è rimasto inalterato e il titolo sembra vicinissimo.
Arriviamo allora alla sfida contro il Parma.
All'Olimpico si respira un'aria strana, è come se ci si trovasse in un limbo. Quella partita poteva essere il preludio di una grande gioia o del più grande dramma sportivo di sempre. Gli emiliani non hanno una squadra scarsa: giocatori come Buffon, Cannavaro e Thuram rendono i ducali parecchio ostici da fronteggiare.
Ma la Roma è una corrazzata e non intende buttare quell'occasione al vento. Ci mette solo 19 minuti a passare in vantaggio con Totti, poi è il turno di Montella e Batistuta; a niente serve la rete di Di Vaio allo scadere, la partita è praticamente finita.
Già... praticamente. Mancano 5 minuti al triplice fischio e la gioia dei tifosi è talmente incontenibile che a migliaia si riversano sul campo per abbracciare i propri beniamini. In queste condizioni è impossibile far proseguire la gara, quindi l'arbitro la sospende, minacciando il 3-0 a tavolino in favore del Parma. Un risultato che avrebbe regalato (non esiste verbo migliore di questo) il titolo ai bianconeri.
Fabio Capello è una furia, non vuole permettere a quegli invasori scellerati di compromettere la sua nomea da vincente. Allora va sotto la curva e affronta a muso duro i tifosi rivolgendo degli insulti che non ci sentiamo di ripetere. Carlo Zampa urla "Questo no! Questo no!"; mentre dalle tribune si alza un coro che suona come una preghiera: "Uscite, uscite!".
Per fortuna dei giallorossi, i tifosi si posizionano a bordocampo permettendo al Parma di tornare in campo e alla gara di terminare. Al fischio finale, si scatena la festa, con l'invasione che appare ora legittima. Sugli spalti, Franco Sensi avverte un leggero malore, complici il caldo e la tensione accumulata. Il presidente aveva pesantemente investito sulla squadra e in caso di mancata vittoria, le finanze del club sarebbero state in pericolo. Ma il suo azzardo l'ha ripagato.
Come rivelato da Walter Veltroni ad Adnkronos, la festa per il titolo durò una settimana e si tenne nel massimo rispetto del decoro e del patrimonio artistico della città. Fu un momento di giubilo per romanisti e non, tutti si sentirono coinvolti dall'uragano di emozioni che solo la tifoseria giallorossa sa trasmettere.
Da quell'epico Scudetto sono passati ormai 20 anni. La Roma ha provato negli ultimi tempi a vincerlo di nuovo, andandoci vicina in diverse occasioni. Il tempo inizia a diventare consistente, ma sicuramente il ricordo e le emozioni dei tifosi sono ancora tangibili.