Roma, cosa c'è che non va? I motivi (profondi) della debacle contro la Juventus
Al sessantesimo minuto, gran parte dello Stadio Olimpico era certo che la Roma avrebbe vinto quella partita. D'altronde, se sei in vantaggio di due gol, ti trovi in casa e stai esprimendo un calcio decisamente migliore rispetto a quello dei tuoi avversari, non può essere altrimenti. Nella rimonta non ci credevano nemmeno i tifosi della Juventus, convinti di trovarsi di fronte a un'altra brutta figura stagionale.
Dopo l'ora di gioco, la gara è cambiata improvvisamente. La rete siglata da Locatelli, bravo a girare di testa un cross nato da un bel dribbling di Morata, ha dato il via alla rincorsa bianconera, facendo da apripista a quella di Kulusevski e al sigillo finale di De Sciglio che, in occasione del 4-3, ha deciso di vestire gli insoliti panni dell'esterno offensivo. Nel finale, capitan Pellegrini ha sciupato il rigore del possibile 4-4 che non avrebbe di certo nascosto la rimonta sotto il tappeto, ma avrebbe comunque permesso di strappare un punto.
Al 70' la Roma è sparita dal campo. È stato come se all'Olimpico fossero andati in scena due match: il primo vinto 3-1 dai giallorossi; il secondo dominato 3-0 dai bianconeri. Secondo diversi "critici" del calcio, ogni partita è composta da diverse "partite-nelle-partite", però questa divisione appare troppo netta.
C'era curiosità di sentire le spiegazioni di José Mourinho nel dopopartita. Lo Special One è apparso sin da subito deluso, è perfino arrivato a dire che "gli faceva male l'anima". Nel corso delle sue dichiarazioni, ha fatto riferimento ancora una volta alla panchina troppo corta - ma questo ce lo saremmo aspettato tutti. Quel che più sorprende è che, forse per la sua prima volta in carriera, Mourinho ha messo un muro tra sé e i suoi giocatori:
"Io ho già detto nello spogliatoio che devono essere loro ad adeguarsi a me, non io a loro", che parafrasando vuol dire: "I miei giocatori devono imparare a essere dei vincenti come me, non devo essere io a diventare un perdente come loro".
Secondo Mourinho, alla Roma non mancano giocatori forti, mancano invece i giocatori con personalità. In effetti, dopo il 3-2 i giallorossi sono sembrati più timorosi, pensavano davvero che gli avversari avrebbero fatto di tutto per pareggiare, ma nella rimonta non ci credevano nemmeno i bianconeri. Per uscire indenni da questa situazione di difficoltà mentale, servono carattere e soprattutto esperienza. E la Roma ne è a corto.
Si potrebbe cercare di minimizzare la situazione, dicendo che i motivi della debacle siano da individuare nella prestazione disastrosa di Ibanez o nella disattenzione decisiva di Smalling, ma questo sarebbe solo un alibi. Proprio la partita del centrale inglese, prima attento e dominante su Kean, poi sbadato con Morata, dimostra la fragilità emotiva dei giallorossi.
Sempre all'interno dell'intervista, Mourinho ha ripescato l'ennesimo topos della sua esperienza capitolina: quello sul tempo. Alla Roma della passata stagione si criticava l'incapacità di vincere i big match e nemmeno Mourinho, elevato a salvatore della patria, è riuscito a invertire questo trend. Evidentemente, la colpa non è dell'allenatore. Per migliorare sotto l'aspetto della tenuta mentale c'è bisogno di farsi le ossa, di rompersele se è necessario, ma in ogni caso c'è bisogno di tempo. Ai giallorossi serve pazienza, ma sappiamo che la piazza non te la concede facilmente.
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