Record storico di stranieri in Serie A: è davvero un problema?
L'edizione odierna de La Stampa riporta un dato interessante: con l'esordio del giovane Marley Aké, sono ben 361 gli stranieri che hanno giocato in Serie A in questa stagione; mai così tanti nella storia del campionato italiano.
Si tratta di un numero incredibilmente alto, soprattutto se consideriamo che dei 567 giocatori scesi in campo, solo il 36% è italiano.
La notizia è per certi versi una non-notizia, dato che è una cosa ormai nota. Quello che però le ha permesso di destare scalpore è il tempismo. Sapere infatti che in Serie A giocano pochissimi italiani non fa che gettare benzina sul dibattito che parla di un movimento nostrano in piena crisi.
Tra poco più di un mese la Nazionale disputerà i playoff per accedere ai Mondiali, ma - secondo molti - non saremmo arrivati a quest'ultima spiaggia se in Serie A ci fossero stati soltanto calciatori italiani.
Se dunque l'Italia non ha una squadra all'altezza delle varie Spagna, Germania e Inghilterra, il motivo risiede nei troppi stranieri che giocano nel nostro campionato. Ma è davvero questa la causa?
Facciamo finta che dalla settimana prossima la Lega Calcio decida di bandire tutti i calciatori non italiani dalla Serie A. Da un giorno all'altro, via Milinkovic-Savic, via Rafael Leao, via Ruslan Malinovskyi e così via: il campionato diverrebbe più competitivo? Decisamente no.
Tutti noi, in qualsiasi ambito della vita, abbiamo bisogno di avere a che fare con i migliori per migliorare. Ci importa delle loro qualità, mica del loro passaporto.
Anzi, spesso si migliora ancora di più quando ci si confronta con persone di altri paesi. Ad esempio, un giocatore di basket che viene preso in NBA migliora sensibilmente di più rispetto a uno che resta in Italia.
Allora come mai la nostra Nazionale non è al livello delle varie big mondiali?
Probabilmente perché negli ultimi secoli ci siamo presi le colonie sbagliate.
Scherzi a parte, selezioni come quella francese, tedesca e inglese possono sempre contare su giocatori col doppio passaporto che decidono di abbracciare la nazionalità calcisticamente più illustre; mentre l'Italia, salvo qualche rara eccezione (Jorginho), deve accontentarsi di autoctoni.
Il calcio è fatto di cicli, non si può mantenere uno standard sempre alto. I giocatori sono - perdonate la metafora - come il vino: ci sono annate, o per meglio dire "generazioni", migliori di altre. Se il Barcellona non attinge più da anni dal settore giovanile, non è perché sono impazziti (forse un po' lo sono), ma semplicemente perché nella cantera non ci sono i prossimi Xavi e Iniesta. In futuro chissà, adesso conviene invece prendere giocatori (anche stranieri) da fuori.
Il problema dell'Italia, ammesso che si possa mettere in discussione una squadra campione d'Europa, e del campionato italiano non c'entra niente con la nazionalità dei giocatori della Serie A.
Segui 90min su Instagram.