Perché i processi alla classe arbitrale non aiutano il calcio italiano

Marco Di Bello
Marco Di Bello / Ciancaphoto Studio/GettyImages
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Non per vantarci, ma in Italia siamo campioni indiscussi nel fare polemica. Nessuno ne solleva più di noi e nessuno ne solleva di più pesanti. Siamo addirittura capaci di polemizzare su fatti che ancora non sono accaduti.

Non di rado l'oggetto di queste nostre diatribe riguarda il calcio. D'altronde, che vi aspettavate da un paese con 60 milioni di allenatori!?

Il punto è che quest'anno la Serie A è combattuta come non mai. Basti pensare che a sei giornate dal termine ci sono quattro squadre racchiuse in soli 6 punti (Milan, Inter, Napoli e Juventus). La distanza è la stessa anche tra le quattro che lottano per un posto in Europa (Roma, Lazio, Fiorentina e Atalanta) e, come se non bastasse, perfino il fronte salvezza non si è ancora ben delineato, visto che Sampdoria (a 29 punti) e Salernitana (a 16 ma con due partite da recuperare) non sono molto lontane.

Se da un lato un campionato così indeciso è senz'altro motivo di curiosità ed entusiasmo per tutti gli appassionati, dall'altro rappresenta invece un nettare delizioso per i polemici del pallone.

A Serie A archway structure is seen prior to the Serie A...
Serie A / Nicolò Campo/GettyImages

Si avverte nervosismo nell'aria, la situazione è tesa come una corda di violino. Giornali, radio, podcast e testate online lo sanno e con ammirevole maestria cavalcano un'onda che potenzialmente può diventare uno tsunami. Anzi, la alimentano perfino.

Stamattina sul Corriere dello Sport è stato pubblicato un editoriale che fa polemica sul livello degli arbitri di Serie A. Edmondo Pinna - l'autore del pezzo - esprime una sorta di solidarietà emotiva al designatore Gianluca Rocchi, che è alla guida di quella che è - a suo avviso - la "peggiore classe arbitrale degli ultimi 30 anni".

Per il CdS, Rocchi è il triste protagonista di una serie di sfortunati eventi, come un eroe che deve fronteggiare situazioni difficili e deve farsi bastare quel poco che ha. Per avvalorare la propria tesi, Pinna prende in esempio il prossimo turno di campionato. Secondo lui, aver assegnato a Di Bello un match decisivo come Napoli-Roma la dice lunga sulle condizioni dei fischietti italiani di oggi. Recentemente, l'arbitro di Brindisi si è infatti macchiato di una colpa: in Atalanta-Napoli del 3 aprile scorso non ha visto "un rigore grande come una casa (Musso su Mertens), prima di essere salvato dal VAR". Pertanto, farlo rientrare così presto e in una partita di importanza così cruciale è un errore madornale.

Di Bello ha sbagliato e di conseguenza deve essere punito. Non si è accorto di un fallo evidente (poi comunque ravvisato dal VAR) e per questo deve pagare. Ma non con un semplice turno di stop - troppo facile. Serve la pena più dura e cruenta che si possa infliggere a un arbitro, gli si deve prendere il fischietto e bisogna bruciarlo direttamente nel fuoco di un vulcano. Fa niente se l'arbitro in questione ha alle spalle 136 gettoni in Serie A, dirige partite europee dal 2018 e che lo scorso anno è stato addirittura eletto il migliore del nostro campionato. Pinna considera la sua svista imperdonabile e allora Di Bello può guardarsi Napoli-Roma solo dal divano, non di certo dal campo con il fischietto in mano.

Juan Musso, Marco Di Bello
Atalanta - Napoli / Emilio Andreoli/GettyImages

Non sono nessuno per giudicare le prese di posizioni del Corriere dello Sport, ma in questo caso - a mio avviso - ha messo le mani avanti. Mi immagino la redazione mentre assiste al prossimo turno di Serie A e aspetta impazientemente un errore dal primo malcapitato. "Ecco, ha sbagliato! Noi ve l'avevamo detto che gli arbitri italiani sono scarsi!", questa sarebbe la loro reazione.

Permettetemi di dire che simili prese di posizione a priori potrebbero non fare così bene al movimento calcistico nostrano. Non vedo perché scagliarsi contro gli arbitri ancor prima che le partite si giochino. Certo, i fischietti dello Stivale non sono esenti da colpe. In stagione ne hanno commessi di errori, ma che bisogno c'è di infierire? Così si rischia di caricare ulteriormente un ambiente già di per sé saturo di nervosismo, di riempire di vapore una pentola a pressione che aspetta il minimo spiffero per scoppiare. Probabilmente, però, un simile clima non è così lontano dalle logiche di interesse mediatico.


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