Naming Rights: le cifre legate alla cessione dei diritti di denominazione degli stadi

Altre forme di guadagno per le società di calcio. Un fenomeno che esploderà definitivamente anche in Italia quando i club riusciranno a completare la costruzione di nuovi impianti (di proprietà).

L'Allianz Stadium visto dall'esterno
L'Allianz Stadium visto dall'esterno / Marco Canoniero/GettyImages
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Ancora poco sfruttato in Italia - anche per la presenza di pochi stadi di proprietà - il Naming Rights legato agli stadi sta diventando sempre più una nuova fonte di guadagno per le società calcistiche. Se consideriamo la stagione attuale (2023-24) sono appena 7 su 20 i club che hanno ceduto i diritti di denominazione del proprio stadio e tra questi sette club c’è un solo top team: la Juventus. Unica società, tra le big, ad avere l’impianto di proprietà in Italia.

Una pratica che va di moda, da tempo, nell’America del Nord (Stati Uniti e Canada) e che permette alle società - in questo caso parlo in generale, non solo di calcio - di incassare centinaia di milioni di euro spalmati su più anni, solitamente dai tre ai vent’anni.

Cosa è il Naming Rights e cosa è la cessione dei diritti di denominazione dello stadio

Per Naming Rights si indica “i diritti di denominazione di una proprietà immobiliare, che vengono ceduti ad uno sponsor a fronte di un corrispettivo economico. Il contratto che ha come oggetto la sola cessione dei naming rights di uno stadio comporta l’associazione del nome di un’azienda - ma anche di un suo marchio - a quello dell’impianto sportivo sponsorizzato”.

Ho copiato e incollato un testo scritto da La Gazzetta dello Sport nel 2017 quando il fenomeno - almeno in Italia - era in fase embrionale. In America giravano già importanti cifre, così come in Bundesliga diverse società calcistiche avevano iniziato a cedere da qualche anno i diritti di denominazione del proprio stadio agli sponsor.

Di fatto, per dirla in parole povere: un club rinuncia al nome del proprio impianto casalingo e permette ad uno sponsor di intitolare il nome dello stadio al proprio brand, dietro un buon corrispettivo economico.

Il fenomeno del Naming Rights in Serie A (2023-24)

Chi ha cavalcato rapidamente l’onda del Naming Rights, approfittando dell’investimento effettuato per la realizzazione del nuovo stadio, è stata la Juventus. La società bianconera a circa sei anni dall’inaugurazione dell’impianto casalingo nato sulle ceneri del vecchio Delle Alpi, strappò un accordo con Allianz per la cessione dei diritti di denominazione della struttura. Un primo accordo è stato firmato nel 2017 con scadenza nel 2023 per una cifra totale di 75 milioni di euro, portando nelle casse del club bianconero 6,2 milioni di euro all’anno circa (il resto è finito nelle tasche della Lagardère Sports, a cui il club aveva dato mandato per la vendita del nome dello stadio).

Nel 2020, a tre anni dalla scadenza del contratto, è arrivato il rinnovo della partnership tra Juventus e Allianz per un importo complessivo di 103 milioni di euro fino al 2030 (all’interno di questo accordo è presente anche una sponsorizzazione con la squadra femminile bianconera). Tutto ciò, dal 2017, comportò un cambio nel nome dello stadio, passato da Juventus Stadium ad Allianz Stadium.

Accordi in famiglia in casa Sassuolo dove lo stadio Città del Tricolore di Reggio Emilia - di proprietà del club emiliano - è diventato Mapei Stadium. Mapei è l’azienda che ha in mano la società neroverde e versa annualmente 3 milioni di euro per dare il proprio nome all’impianto.

L’Udinese è invece fresca di cambio nome: lo stadio Friuli per cinque stagioni è stata per tutti Dacia Arena (che fruttava 500mila euro annui al club), da quest’anno invece si chiama Bluenergy Stadium, con un contratto da 800mila euro a stagione per il club bianconero.

Tra le società che hanno ceduto il nome del proprio stadio agli sponsor troviamo il Monza, l’Atalanta, l’Empoli e il Cagliari. Lo stadio Brianteo si è trasformato in U-Power Stadium (che frutta 250mila euro l’anno per le casse brianzole), lo stadio Atleti Azzurri d’Italia, ancora in fase di ristrutturazione ma utilizzato con capacità ridotta dalla Dea, è diventato il Gewiss Stadium (con un contratto da 750mila euro annui per sei stagioni).

Lo stadio Castellani da quest’anno si chiama Computer Gross Arena, con l’Empoli che ha allargato la partnership con l’azienda - già da anni main sponsor del club - anche con la cessione del nome dell’impianto. E poi troviamo la struttura provvisoria del Cagliari, inizialmente denominata Sardegna Arena, trasformata in Unipol Domus dopo l’accordo decennale sottoscritto tra il club e l’azienda finanziaria che darà il nome presumibilmente anche al nuovo stadio.

  • Atalanta - Da Atleti Azzurri d’Italia a Gewiss Stadium
  • Cagliari - Da Sardegna Arena a Unipol Domus
  • Empoli - Da Carlo Castellani a Computer Gross Arena
  • Juventus - Da Juventus Stadium ad Allianz Stadium
  • Monza - Da Brianteo a U-Power Stadium
  • Sassuolo - Da Città del Tricolore a Mapei Stadium
  • Udinese - Da Stadio Friuli a Bluenergy Stadium (ex Dacia Arena)

Il fenomeno del Naming Rights all’estero

La cessione dei diritti di denominazione dello stadio viene sfruttata tanto all’estero, soprattutto in Bundesliga, dove circa l’80% degli impianti è brandizzato.

Tra i contratti più importanti sottoscritti lontano dall’Italia troviamo sicuramente quello tra Arsenal e Emirates del 2004: 100 milioni di sterline totali in quindici anni. Non è da meno il contratto da 400 milioni di sterline in dieci anni sottoscritto dal Manchester City con Etihad, che oltre al nome dello stadio comprende anche la presenza del logo sulle maglia da gioco.

Uno degli accordi recenti più redditizi ci porta in Spagna, a Barcellona, dove Spotify solo per brandizzare il nome del Camp Nou (diventato Spotify Camp Nou) ha investito circa 180 milioni di euro: 20 milioni di euro totali nei primi quattro anni e 20 milioni l'anno per le successive otto stagioni.

Si è chiusa al termine della stagione 2022-23 la partnership tra Atletico Madrid e Wanda: la denominazione dell’impianto casalingo dei Colchoneros in Wanda Metropolitano ha portato nelle casse del club spagnolo 10 milioni l’anno per cinque stagioni. Cifre simili per l’Allianz Arena del Bayern Monaco che garantisce circa 7,5 milioni di euro annui ai bavaresi.

Il marchio Allianz è presente in diversi stadi del mondo: oltre agli impianti di Bayern Monaco e Juventus, l’azienda ha brandizzato il nome agli stadi di Vienna (Allianz Stadion), del Nizza (Allianz Riviera), del Palmeiras (Allianz Parque) e di Sydney (Allianz Stadium).

Anche in Turchia diversi club, circa 30% nella massima divisione, ha accordi con brand per la cessione del nome del proprio stadio. I due casi più importanti sono quello del Fenerbahce e del Besiktas: il primo ha un accordo con Ulker per 8 milioni di euro l’anno (Ulker Stadium, anche se tutti in Turchia continuano a chiamarlo Sukru Saracoglu Stadium); il secondo ha strappato un accordo da 120 milioni di euro iniziato nel 2013 e che si concluderà nel 2028 con Vodafone (stadio diventato Vodafone Park), che comprende anche sponsorizzazione della maglia, pubblicità e i diritti sulle tecnologie utilizzate nello stadio.

I nomi brandizzati secondo le norme UEFA

Gran parte degli stadi brandizzati nelle competizioni europee tornano al nome originale. Per esempio, l’Allianz Stadium diventa Juventus Stadium. Questo perché da regolamento UEFA nessun elemento dello sponsor dello stadio (come il nome, il logo, il marchio, ecc) può essere visibile all’interno di una competizione europea organizzata dalla UEFA (anche se ci sono alcune eccezioni) se non è anche sponsor ufficiale della stessa federazione europea.