Mourinho e Gasperini, fuoco incrociato sugli arbitri: il sistema non è credibile?

Spezia Calcio v SS Lazio - Serie A
Spezia Calcio v SS Lazio - Serie A / Gabriele Maltinti/GettyImages
facebooktwitterreddit

Sin da inizio campionato la Serie A non ha fatto mancare alle vare piazze italiane un bel po' di appigli a cui attaccarsi in risposta ad un insuccesso proprio o ad un successo della squadra con cui ci si sta battagliando per un traguardo finale. È una particolarità del luogo questa, quella di essere in continua polemica contro tutto e tutti, millantando una ragione che molte volte bisogna raschiare dal barile per mantenere le proprie convinzioni. Quando si parla poi di errori arbitrali non sembra esserci neanche bisogno di attaccarsi al fondo della botte, basta bere in superficie e le polemiche emergeranno in un attimo.

Insomma, nulla di nuovo per il nostro campionato. Cartellini rossi non sanzionati, valutazioni personali non condivise, rigori non concessi e tanto ancora stanno alimentando da inizio stagione i più accesi dibattiti da anni a questa parte. Le decisioni prese dai direttori di gara non convincono nessuno, in primo luogo proprio coloro che lavorano nel sistema calcio.

Gli sfoghi di Mourinho e Gasperini al termine delle rispettive sfide con Bologna e Salernitana hanno aggiunto ancor di più benzina al fuoco, già alto di suo dopo l'episodio di Spezia - Lazio che ha portato alla sospensione di Pairetto e Nasca. Il gol di Acerbi in posizione di fuorigioco ha riacceso all'ennesima potenza i dubbi e le perplessità sull'impiego del VAR in Serie A, uno strumento che al debutto in Italia sembrava poter scacciare gli spettri di eccessive sviste arbitrali (alle volte con il sospetto della malafede, ritornando con la mente ai vari Calciopoli, Calciopoli 2.0 e I Treni del Gol), ma oggi appare più in difficoltà che mai.

Referee Simone Sozza holds the ball during the Italy cup...
Referee Simone Sozza holds the ball during the Italy cup... / Insidefoto/GettyImages

Appare difficile pensare che in Italia - e non solo in Serie A - i direttori di gara si siano dimenticati come si dirige con diligenza un incontro. Sozza ne è un esempio, Orsato resta un caposaldo (scelto anche per la semifinale di Champions tra Real e City), e la lista potrebbe tranquillamente allungarsi. Obbiettivamente non si può dire che la classe arbitrale italiana sia scarsa, ma che qualcosa non stia funzionando da inizio campionato lo si era capito.

I continui aggiornamenti del regolamento e la decisione di dare minor peso all'utilizzo del VAR (per recuperare una sorta di padronanza dell'arbitro) sembrano aver mandato in bambola parte dell'organico a disposizione del designatore Gianluca Rocchi. Quelli di Nasca e Pairetto sono solo alcuni dei provvedimenti disciplinari presi nei confronti di direttori di gara coinvolti in sviste o errori di valutazione, circostanze troppo frequenti per la massima categoria professionistica italiana.

L'idea di voler inseguire sempre di più il modello inglese nella gestione degli episodi non aiuta nella scelta del fischietto. L'avvicinamento alla direzione della Premier non è uniforme, creando all'interno dell'AIA situazioni in cui c'è chi segue alla lettera il regolamento italiano e chi cerca di adattarsi agli standard europei ed internazionali. La conseguenza è unica e semplice: scompare completamente l'uniformità di giudizio, riscontrando decisioni diverse da arbitro in arbitro, di partita in partita. Ciò ovviamente spinge tutte le società, seguendo cicli diversi, a lamentarsi di decisioni che sembravano chiare agli occhi di tutti, ma non adottate per una incapacità di chi giudica. Basti pensare anche allo stesso Iervolino, diventato presidente della Salernitana da pochi mesi e già sceso in campo per difendere una società granata, a sua detta, penalizzata dalle scelte della terna.

Fabio Maresca
Cagliari Calcio v SS Lazio - Serie A / Enrico Locci/GettyImages

Uniformità di giudizio a parte (sempre esistita e probabilmente sempre esisterà, in quanto frutto di valutazioni personali di un soggetto), ciò che fa scatenare l'ira del mondo del calcio italiano è l'utilizzo del VAR. La tecnologia aveva promesso al suo arrivo una scomparsa marginale degli errori, aspettative però disattese. Lo strumento sembra non essere sfruttato a pieno e nel modo più corretto, arrivando a fallire nel caso di Acerbi anche il compito più semplice, quello del fuorigioco. Non è un caso che sempre più persone si interroghino sul miglior modo possibile per utilizzarlo e le ultime parole di Mourinho ("La storia è sempre la stessa: io alleno da 22 anni e dopo 22 anni puoi ancora vincere con un gol in fuorigioco perché ieri questo è successo") suggeriscono come la soluzione sia lontana dall'essere evidenziata.

Non mancano, dunque, in Italia arbitri in grado di fare il proprio lavoro. Ciò di cui si sente la mancanza e che fa barcollare tutto il sistema AIA è un protocollo, semplice ed inattaccabile, per l'impiego della tecnologia. Solo questo. Il direttore di gara può e deve essere libero di scegliere come dirigere un incontro, se avvicinarsi al modello inglese, quello spagnolo, quello tedesco o addirittura del Kazakistan. C'è bisogno, però, di regole precisi ed univoche sull'utilizzo del VAR. Solo così si potrà ridurre nuovamente la quantità di errori visti in questa stagione e tornare a parlare nei post gara meno di arbitri e più di calcio giocato.