È morto Tarciso Burgnich: la carriera di un monumento del calcio italiano
Oggi un lutto sconvolge il mondo del calcio. Tarcisio Burgnich, bandiera dell’Inter e della Nazionale, è morto a 82 anni dopo una lunga malattia nella casa di cura San Camillo a Forte dei Marmi (Lucca): lì era stato portato dopo un ricovero all’ospedale Versilia. Il malore che ha accusato negli ultimi giorni gli è stato fatale e la “Roccia” stavolta si è sgretolata. Era il suo soprannome, coniato da Armando Picchi, suo compagno in nerazzurro e in Nazionale. Perché Burgnich è stato un dei migliori difensori che il calcio italiano abbia mai sfornato. Ha giocato come libero, terzino e soprattutto come stopper grazie alle sue capacità di marcare che mettevano in crisi gli avversari. Era duro con i rivali, insuperabile ma mai cattivo. Scaltro quando necessario, eppure umile nello sport e nella vita.
Burgnich ha interiorizzato gli insegnamenti di Comuzzi, suo allenatore nell’Udinese, dove esordì appena ventenne. Lì in quella squadra dove era anche presente Dino Zoff. Il destino alle volte è divertente. A Udine giocò come terzino e stopper, copriva i compagni e metteva sempre la gamba. Poi passò alla Juventus, in un anno da meteora in cui vinse lo scudetto nel '61. Palermo successivamente e, infine, approdò all’Inter dove rimase per dodici anni (dal 1962 al 1974). L’incontro con Helenio Herrera gli aprì le porte del mondo. Così parlava di lui: "Stare con lui era come essere su un'astronave. Era sempre un passo avanti. Uomo sobrio, serio, era stato povero, ci esortava a non buttare via i soldi che guadagnavamo, ci insegnò a fare yoga per concentrarci”.
467 furono le sue presenze in maglia nerazzurra. Con l’Inter guidata da Herrera, Burgnich vinse praticamente tutto: 4 scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Quando venne definito dallo stesso club “un vecchio” ci rimase male. Approdò al Napoli, dove per poco non conquistò lo scudetto nel 1975.
In Nazionale fu uno dei protagonisti che portarono l’Italia sul tetto d’Europa nel 1968. Partecipò anche ai Mondiali del 1970, passati alla storia soprattutto per la famosissima semifinale Italia-Germania 4-3. Brugnich segnò il goal del momentaneo 2-2. In finale si trovò a fronteggiare nientepopodimeno che Pelé. Celebre è la foto in cui O’Rei volò in cielo insaccando la porta azzurra, là dove il difensore italiano non riuscì mai ad arrivare. Dirà poi lui a questo proposito: "Non potevo riuscirci perché in realtà stavo appena arrivando a marcarlo e non ero ancora in posizione, perché Valcareggi aveva cambiato le marcature in corsa". Sempre su Pelé spese parole di elogio: "È fatto di carne ed ossa come tutti gli altri, mi dicevo prima di quella partita. Sbagliavo”. Anche se, a detta sua, gli attaccanti che lo misero più in difficoltà in assoluto furono Ezio Pascutti del Bologna e Dragan Dzajic. Li detestava perché riuscivano sempre a sfuggirli.
Una volta ritiratosi dal calcio giocato, tentò una carriera da allenatore. È stato sulla panchina di molte squadre, l’ultima fu quella del Pescara nel 2001. Non avendo avuto molto successo, divenne in seguito uno degli osservatori dell’Inter. In fondo questo monumento del calcio italiano rimase sempre legato al mondo del calcio, o meglio a quel calcio d’altri tempi in cui è stato uno dei maggior interpreti.