Mkhitaryan: "Contratto? Ne parleremo presto ma a Roma sto bene. Ho vissuto la guerra, i miei appelli per il mondo"

Henrikh Mkhitaryan
Henrikh Mkhitaryan / Giuseppe Bellini/Getty Images
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A tutto Henrikh Mkhitaryan! Il gioiello della Roma che sta trascinando i giallorossi, attualmente terza forza del campionato, ha rilasciato una bella intervista ai microfoni de La Repubblica, parlando di tanti argomenti: dal contratto al futuro passando per la guerra e Klopp.

Il primo ricordo calcistico?

"È legato a mio padre Hamlet. Era attaccante, andò a giocare in Francia e lì ho iniziato a seguire le partite. È morto quando avevo 7 anni: quando si ammalò siamo tornati a Erevan e lì sono andato a scuola calcio".

L'arrivo a Roma?

"Era una possibilità per dimostrare di poter ancora giocare bene. La Roma ha creduto in me, si vede da come gioco che qui sono felice, no?".

Contratto?

"Non c’è stato tempo di parlarne, in pochi giorni abbiamo avuto l’Inter e ora la Lazio. Presto ne parleremo".

Friedkin?

"Sono sempre vicino alla squadra, ma il fatto che Pallotta non ci fosse mai non deve essere un alibi. Dobbiamo essere pronti ai cambiamenti, che sia il modulo o il cambio di società".

Cambio modulo?

"Ha dato più fiducia ai giocatori, se vedi anche in campo come giochiamo, proviamo cose insieme. E sì, l’allenatore capisce meglio di tutti se cambiare formazione o no".

Serie A?

"Penso sia sottovalutata. In Inghilterra dicevano che il livello era calato molto, ma un campionato non si giudica solo per il numero degli spettatori: da subito ho notato una qualità in campo molto elevata".

Henrikh Mkhitaryan
Henrikh Mkhitaryan / Giuseppe Bellini/Getty Images

Klopp?

"Per me è stato quasi uno psicologo. Ero molto severo con me stesso, per un errore potevo chiudermi in camera e non parlare con nessuno per due giorni, o staccare il telefono. Mi ha aiutato a raggiungere un maggiore equilibrio, a capire che se hai dato tutto, un errore non conta. Con lui ho giocato al mio livello massimo. Prima di una partita con l’Eintracht, durante un esercizio sui tiri in porta, mi sfidò: 'Se fai più di sette gol ti do 50 euro, sennò me li dai tu'. Ovviamente non feci sette gol e gli diedi i 50 euro. Ma il giorno dopo in partita segnai due gol e allora gli dissi: 'Mister, ora me li ridai quei 50 euro'. È stata l’unica scommessa che ho fatto in vita mia".

La finale di Europa League a Baku non giocata in quanto armeno?

"La Uefa dovrebbe sempre garantire la sicurezza di tutti i giocatori. Una finale europea è l’occasione di una vita, a volte l’unica che ti capita. E saltarla per motivi di sicurezza è davvero doloroso, come dolorosa è la guerra tra Armenia e Azerbaigian. È un diritto di ogni calciatore giocare al sicuro in ogni paese, soprattutto se ospita una finale europea".

Il conflitto Nagorno Karabakh?

"Non sono molte le persone che mi capiscono perché poche persone si sono trovate in situazioni simili. Da piccolo non capivo molto, ma poi ho studiato, anche a scuola, e ho visto cose dolorose. È incredibile che nel XXI secolo capitino cose del genere, una guerra che dura da trent’anni. Fa male pensare ci siano prigionieri detenuti in Azerbaigian, sottratti alle loro famiglie da anni e anni. Quando è esploso il conflitto mi hanno chiesto di convincere altri calciatori a esporsi con un messaggio di sostegno all’Armenia. Ma io sono contrario a chiedere a persone che non conoscono la storia del Paese di prendere posizione. L’ho fatto io, ma solo con appelli alla pace, nient’altro. Era importante che il mondo si svegliasse, che qualcuno facesse sentire la propria voce. Molti hanno preferito non essere coinvolti. Ringrazio il governo italiano per il sostegno, anche Matteo Salvini, anche se la mia non è una preferenza politica. E grazie a chi ha riconosciuto l’indipendenza dell’Artsakh (repubblica proclamata dagli armeni in Nagorno Karabakh)".


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