Mihajlovic: "Per il Bologna sono andato in panchina mezzo morto. Io alla Juve o all'Inter? Non avrei detto no"

Sinisa Mihajlovic
Sinisa Mihajlovic / Alessandro Sabattini/Getty Images
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Quarto anno alla guida del Bologna per Sinisa Mihajlovic. L'allenatore ha parlato alla Gazzetta dello Sport, tornando sull'incontro con la società rossoblù, sulle voci che lo hanno riguardato e che lo vedevano accostato a Inter e Juve, e non solo.

La nuova annata?

"Mi piacerebbe che la prossima stagione possa essere definita “La scalata”. Perché l’obiettivo è scalare posizioni, finire nella parte sinistra della classifica, esprimere un buon calcio, far divertire i tifosi e rilanciare le nostre ambizioni".

Le voci di mercato?

"Io non ho preso alcun tempo e non ho trattato con altri club. Come ha spiegato anche l’ad Fenucci, a fine campionato la società mi ha proposto di vederci il 1° giugno per parlare della prossima stagione, lasciando a tutti una settimana libera per scaricare tensioni e tossine accumulate durante la stagione. Per me ci saremmo potuti vedere anche prima: la mia permanenza o meno a Bologna non dipendeva da altri club. Non sono ipocrita, se avessero chiamato Inter e Juventus non avrei rifiutato, ma non ho mai preso tempo per aspettare proposte. Il Bologna, per tutto quello che rappresenta per me, non sarà mai nella mia testa un piano B". 

Sinisa Mihajlovic
Sinisa Mihajlovic / Emilio Andreoli/Getty Images

La battaglia contro la leucemia e il rapporto con la città?

"Io sono grato al Bologna, alla città, alle strutture sanitarie, ai cittadini e ai tifosi per l’affetto e il sostegno che mi hanno sempre dimostrato. Ma che io ho ricambiato: il primo anno offrendo tutta la mia professionalità e salvando il club con un piede in B, il secondo facendo molto di più a livello umano. La società non mi ha mai messo in discussione quando mi sono ammalato ed è stato fantastico: ma quanti altri al posto mio avrebbero guidato la squadra da un letto di ospedale tra un ciclo di chemio e un altro? Sono andato in panchina più morto che vivo. Avevo difese immunitarie bassissime, con mascherina e distanziato da tutti mi presentavo allo stadio e poi tornavo in ospedale a curarmi. Ho fatto cose quasi folli per il Bologna. Ma non mi piace doverlo ricordare. Quello tra me e il Bologna è stato e spero continui ad essere un rapporto d’amore. E chi si ama non rinfaccia il proprio amore, non lo sta a misurare. Ho avuto tanto, ma ho dato tutto. Sono sempre stato un uomo divisivo, fa parte della mia natura, schietta e spesso rude. Ma non sono un falso. Capisco che un malato di leucemia unisca tutti senza se e senza ma. Poi quando la malattia non c’è più, resti solo un allenatore di calcio e magari torni quello stronzo arrogante di Mihajlovic, pure zingaro... Non pretendo l’unanimità, che mi fa pure un po’ paura. Possono applaudirmi o fischiarmi, è giusto così. Ma sappiano che non scaldo una panchina: se sono ancora qui è una garanzia anche per loro".

La mancata chiamata di una big?

"In Italia si fatica a dare opportunità. Per i top club girano sempre gli stessi: si cercano tecnici che abbiano fatto le coppe, ma se non finisci in quei club le coppe non le fai. È un cane che si morde la coda. Facendo dei nomi, De Zerbi e Italiano avrebbero meritato questa opportunità".


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