Marchisio: "Si torni a giocare oppure lo Stato si assuma le proprie responsabilità"

Oleg Nikishin/Getty Images
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L'ex centrocampista della Juventus Claudio Marchisio è intervenuto ai microfoni di Tuttosport per esprimere le proprie considerazioni sul futuro del calcio italiano dopo l'emergenza sanitaria legata al Coronavirus.

CALCIO ITALIANO - "In questo momento il calcio è nelle grinfie di questa situazione come qualsiasi altra attività, come qualsiasi persona. Ma se si parla di calcio bisognerebbe però sapere che si tratta di una delle prime dieci industrie del Paese, con un indotto molto importante e un movimento di massa che coinvolge milioni di persone di qualsiasi età. Il calcio non è solo l'élite di giocatori milionari che finiscono sulle copertine e sono i re dei social. Andando in fondo troviamo prima i giocatori di Serie B e di Serie C, che già hanno un altro tipo di trattamento economico, poi abbiamo i giovani tra i 19 e i 20 anni che vorrebbero entrare nel mondo dei professionisti, ma non è detto che possano farlo. E scendendo abbiamo chi lavora con il calcio, chi svolge mansioni molto meno visibili di quelle dei calciatori, ma che grazie ai calciatori e al movimento che creano, può portare a casa uno stipendio per mantenere la propria famiglia. Mi riferisco ai magazzinieri, ai fisioterapisti, agli addetti alla sicurezza, a tutti i giornalisti e operatori dei media che portano il calcio nelle case degli appassionati. Bisogna dare grande attenzione al calcio, ma soprattutto conoscerlo fino in fondo".

Tullio M. Puglia/Getty Images

FUTURO - "Mi auguro che si torni a giocare. Me lo auguro perché voglio pensare in modo ottimista e perché amo il calcio e sinceramente mi manca. Ora leggo che il problema sarebbe il rischio di contagio e non vorrei che si aspettasse il rischio di contagio zero. Perché il rischio zero in uno sport di contatto non può esistere. Bisogna cercare di strutturare tutto al meglio perché il rischio sia minore possibile, se ci si aspetta che sia zero allora non si riaprirà mai".

STOP AL CAMPIONATO - "La decisione sarebbe da rispettare, ma allora lo Stato dovrebbe prendersi delle responsabilità, perché in questo momento servono decisioni concrete per mandare avanti l'economia del Paese, economia di cui il calcio fa parte insieme ad altre tante aziende e settori fermi in questo momento. Mi spaventano le tante parole e i pochi fatti di quei decreti e mi preoccupo da imprenditore, io ho tre ristoranti. Le società di calcio fallirebbero senza la ripartenza, provocando la perdita del lavoro non solo dei giocatori, ma soprattutto dei lavoratori che contribuiscono al funzionamento della macchina".


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