Mancini: "Alla Sampdoria litigai con Vialli e Boskov. Rifiutai la Juventus"
Roberto Mancini si è tolto numerose soddisfazioni da calciatore con la maglia della Sampdoria. Un'esperienza durata quindici anni, dal 1982 al 1997, che gli ha permesso di diventare uno dei simboli della storia blucerchiata. Il suo successo, come rivelato dall'attuale ct della nazionale italiana, è stato reso possibile anche grazie alle varie componenti della società che, a quell'epoca, riuscì a conquistare il primo e solo Scudetto. Ecco i ricordi di Mancini ai microfoni di calciomercato.com.
MANTOVANI – "Paolo Mantovani sta sopra tutti, è inarrivabile e giustamente i tifosi della Sampdoria lo hanno scelto come il personaggio più grande dell’intera storia del club. Senza il presidente non ci sarebbero state la grande Sampdoria, lo Scudetto e tutte le altre vittorie. Per quasi un decennio siamo stati al vertice del calcio italiano ed europeo, abbiamo disputato tre finali europee, vincendo la Coppa delle Coppe a Goteborg e purtroppo perdendo due volte contro il Barcellona: nell’89 la Coppa delle Coppe e nel ’92 la Coppa dei Campioni".
LITI – "Mantovani creò una vera famiglia, in cui tutti si rispettavano, stavano al proprio posto e davano il massimo per la maglia. Non che fossimo degli angioletti, per carità. Nello spogliatoio capitava che si litigasse, io e Pagliuca una volta venimmo alle mani ma il giorno dopo tutto tornava come prima. Persino con Vialli ebbi un momento di scazzo, durò un paio di settimane e sapete perché? Perché Luca in allenamento mi aveva chiamato Mancini, anziché Mancio o Roberto come era solito fare. E io mi ero impennato. Con Boskov non ci parlammo per qualche giorno ma facemmo la pace dandoci la mano di fronte alla gradinata Sud festante, dopo una partita vittoriosa, mi pare contro l’Inter".
CESSIONE – "Ero molto scontento e demoralizzato. Andai da Mantovani e gli chiesi di mandarmi in prestito al Bologna. 'Con Bersellini qui non ho futuro'. “Non ce n’è bisogno, ho licenziato Bersellini, il nuovo allenatore è Vujadin Boskov', mi rispose".
PADRE E FIGLIO – "Quando facevo qualche cavolata il presidente mi convocava in villa, su tra gli ulivi di Sant’Ilario, e mi faceva delle formidabili ramanzine. Ascoltavo, promettevo, mi impegnavo ma ero giovane e un po’ scapestrato e qualche belinata, come si dice a Genova, finivo per farla".
NO ALLA JUVENTUS – "Avevo dato la parola a Borea e non cambiai idea. La Juve era la Juve e io da ragazzino ero pure tifoso dei colori bianconeri. Ma Borea mi aveva convinto a firmare dicendomi che alla Sampdoria sarei potuto diventare una bandiera come Rivera al Milan, Mazzola all’Inter, Antognoni alla Fiorentina. “La Sampdoria non è più un passaggio di carriera, è un approdo e diventerà grande”, disse Borea. Mantovani? Non lo avevo mai visto, mi fidai delle parole di Borea che mi aveva raccontato dell’ambizione del presidente di costruire uno squadrone capace di rivaleggiare con la grandi storiche. Non mi ero sbagliato, no. Alla Juve avrei vinto di più, è possibile, e in Nazionale probabilmente non avrei dovuto passare quello che ho passato, un po’ per colpa mia e parecchio per la guerra che la grande stampa mi fece".
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