Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: perché snobbiamo gli ex di Serie A?

Quanto brillare all'estero nell'immaginario collettivo?
UD Almeria v Sevilla - Spanish Copa del Rey
UD Almeria v Sevilla - Spanish Copa del Rey / Soccrates Images/GettyImages
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"Sì vabbè, vediamo cosa farà in Serie A". Una frase che si sente spesso nei contesti di discussioni estive in merito ai nuovi acquisti del massimo campionato italiano. A Roma l'abbiamo ascoltato soprattutto in relazione a Ndicka e Aouar, ma anche per Castellanos e Kamada; a Milano si è detta per Marcus Thuram e Yann Sommer, e ancora per Ruben Loftus-Cheek e Samuel Chukwueze.

Non si è praticamente mai ascoltata per Davide Frattesi, Carlos Augusto, Gianluca Scamacca o anche Andrea Belotti (lo scorso anno); insomma calciatori che nel curriculum vantano ottime prestazioni in precedenti edizioni del massimo campionato italiano. Esservi cresciuti e avervi brillato aiuta in modo preponderante, ma non è il fattore decisivo.

Dopo decenni di libero mercato nel calcio si fa ancora difficoltà ad accogliere i giocatori dall'estero con lo status che meritano. Agli occhi dell'opinione pubblica un calciatore che sbarca in Italia riparte da 0, specialmente se non si esalta nelle prime uscite con la sua nuova maglia. Deve dimostrare qualcosa in un campionato che, nonostante siano trascorsi oltre 20 anni dai Novanta, continuiamo a considerare sommessamente superiore agli altri (eccezion fatta per la Premier League).

Non importa che conti oltre 100 o 200 partite in un altro dei massimi campionati europei, che abbia segnato un numero importante di gol o che fosse desiderato da altre squadre di livello. Non c'è possibilità di errore nel periodo a breve termine; il giudizio definitivo va dato il più in fretta possibile. Parliamo invece della situazione inversa, a livello temporale. Qual è il pensiero comune sui calciatori che non hanno esperienze positive in Italia, ma che cambiano aria e si consacrano lontano dal nostro paese? Più o meno la stessa, e probabilmente è ancora più ingiusto.

Suso, Ocampos e gli altri

Prendiamo due esempi su tutti, quelli degli ex Milan Suso e Lucas Ocampos. Il ricordo del primo è abbastanza fresco. Una cessione vissuta quasi come una liberazione da molti tifosi rossoneri, stanchi di una giocata arrivata ai limiti del meme; quel costante rientrare sul mancino che ha comunque fruttato al club lombardo 60 tra gol e assist in 145 partite. Sono state meno redditizie le stagioni al Siviglia, ma più importanti. In quasi quattro anni ha vinto due Europa League da assoluto protagonista. Due gol nelle Semifinali delle due edizioni trionfanti, decisivi contro Juventus e Manchester United.

2020. Da Ocampos a Suso.

Più sbiadito il ricordo di Lucas Ocampos in Serie A. Il collega andaluso di Suso ha vissuto solo una stagione nel massimo campionato italiano (2016-17), divisa tra Genoa e Milan, quanto basta per essere bollato come calciatore fumoso. Poi le annate positive a Marsiglia e le stagioni meravigliose a Siviglia, 17 i gol in quella d'esordio culminata con l'Europa League.

Per restare in Spagna ci sarebbe anche l'esempio di Vedat Muriqi, estremo per alcuni, ma abbastanza significativo. Il pirata, escluso alla Lazio, ha già segnato 24 gol e fornito 7 assist al Mallorca in meno di due anni, salvandolo quasi da solo nel 2022. Non era forse adatto al gioco di Inzaghi, e nemmeno a quello di Maurizio Sarri, ma calciatori con le sue cifre realizzative in Italia vengono acquistati da club più importanti (Nzola quest'anno) o considerati certezze del nostro campionato.

Potremmo parlare delle stagioni di Schick in Germania prima dei problemi fisici, delle ultime in Portogallo di Joao Mario o dell'exploit di Paquetá al West Ham e concluderemmo sempre allo stesso modo. Nell'opinione comune il tempo scarseggia e la prima impressione è così determinante da condizionare anche quelle future.

Trampolino di lancio

Il tempo, appunto. Spesso viene concesso, spesso no, per poi vendere un calciatore promettente a diversi milioni e recriminare il suo essere diventato un campione, trincerandosi dietro a un semplice "sì, ma quando giocava in Serie A non era questo". Sicuro, ma si contano sulle dita di due mani i fenomeni del calcio contemporaneo che hanno dimostrato di essere fuori dal comune dal giorno uno.

E dunque appena si inizia a intravedere qualcosa e arrivano offerte di qualche decina di milioni, si saluta e si ringrazia per la plusvalenza. Addio Coutinho (Inter), addio Cristante e Locatelli (Milan), addio Romero, Coman, Immobile e Berardi (Juventus), e potremmo proseguire con esempi di altri club italiani.

C'è un problema con il tempo, con l'arrivo di nuovi calciatori con esperienza pregressa e con la rivalutazione di giocatori che hanno brillato all'estero deludendo in Italia. La sensazione che quello che accada lontano dagli occhi, se non immediatamente ribadito nel nostro paese, perda automaticamente tutto il suo valore.