La Serie A non si evolve, il motivo? L'82% dei ricavi finiscono negli stipendi

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Serie A / Nicolò Campo/GettyImages
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Ci lamentiamo spesso di come la Serie A sia diventata un campionato poco competitivo, un cimitero degli elefanti per tutti quei campioni sbiaditi che hanno perso da tempo lo smalto dei giorni migliori, o al limite la rampa di lancio per qualche bel giovane dalle belle speranze.

Negli anni '90 giocare da noi era il coronamento della carriera di un giocatore, mentre ora è un punto di passaggio per chi non vede già l'ora di andarsene o d'arrivo per coloro che non possono più sperare in qualcosa di meglio. Come siamo passati dai fasti della fine dello scorso millennio alla decadenza dei nostri giorni?

Probabilmente è perché non siamo riusciti a cogliere i cambiamenti di un calcio che da semplice sport è diventato sempre più intrattenitivo. L'ascesa dell'entertainment applicato al calcio non ha favorito il paese che - forse più di tutti - fa del pragmatismo la propria bandiera. Giocare male è lecito quando si vuole portare a casa il risultato, non quando devi regalare uno spettacolo a chi segue la partita.

Come spesso accade, la portatrice dei nuovi (fab)bisogni dei tifosi è stata l'Inghilterra, che, non a caso, ha oggi il campionato di calcio più ricco, seguito e invidiato del mondo.

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Premier League / GLYN KIRK/GettyImages

Il segreto dei club di Premier League risiede (anche) nella loro lungimiranza, nel non soffermarsi sull'hic et nunc, ma nel ragionare in prospettiva cercando la risposta a domande che devono essere ancora poste. Spieghiamoci meglio con un esempio: se un giocatore viene venduto per 100 milioni di euro (cifra che ormai non desta nemmeno più clamore), tale somma non verrà reinvestita esclusivamente su un suo sostituto, ma una parte verrà messa da parte per mantenere vive le casse della società (perché, dopo il Covid, non si sa mai), un'altra verrà impiegata per migliorare lo spogliatoio dei ragazzi delle giovanili (perché, alla fine, loro sono il futuro).

In Italia ci siamo invece tristemente abituati a centri sportivi fatiscenti, dove le academy non possono di certo svilupparsi nel migliore dei modi. Non va meglio neppure con gli stadi, dove i lavori di manutenzione e/o riammodernamento mancano ormai da secoli immemori per colpa di società ed enti comunali che non riescono mai ad accordarsi.

Non bisogna però dare solo la colpa alla burocrazia (che di colpe ne ha davvero tante) nascondendosi dietro a un dito. Bisogna rivolgersi ai numeri - quelli che non sbagliano mai - per realizzare quanto il calcio italiano stia portando avanti una gestione finanziaria controversa.

Come riporta infatti l'Annual Review of Football Finance, tra il 2021 e il 2022 la Serie A ha visto aumentare i propri introiti, che sono passati da 2,057 a 2,527 miliardi di euro in un anno solare. Questo incremento è stato accompagnato da un altro relativo agli stipendi versati ai giocatori, che sono schizzati del 29% rispetto allo scorso anno.

Nulla di sbagliato, penserete voi. Il problema è il rapporto spesa-guadagni, che sta assumendo tratti sempre più preoccupanti. Nel 2022 infatti le squadre di Serie A hanno investito l'89% dei propri incassi per pagare i ricchi salari dei loro giocatori.

Il che è ancora più grave se consideriamo che il campionato italiano è quello che ha guadagnato di meno nell'ultimo anno nelle top 5 leghe europee (solo la Francia ha fatto peggio di noi). Guadagniamo poco ma spendiamo tanto: questo è il succo del discorso.

Se consideriamo poi che queste cifre non vengono nemmeno spese per giocatori di caratura internazionale, comprendiamo allora come il nostro sistema non sia esattamente sostenibile. Per risultare più competitivo e magari sognare di prendere terreno sulla dorata Premier League, la Serie A ha bisogno di alleggerire il proprio monte ingaggi e di rimetterlo in una proporzione tollerabile rispetto ai suoi incassi. Serve un passo indietro per compierne uno in avanti sul lungo periodo.