La guerra (senza senso) sulle sponsorizzazioni gonfiate nel calcio

Manchester City v Newcastle United - Premier League
Manchester City v Newcastle United - Premier League / Robbie Jay Barratt - AMA/GettyImages
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C'era una volta il calcio legato ai magnati, proprietari dei club, che investivano di tasca propria del denaro per mantenere competitiva - ad alto livello - la propria squadra; oggi invece - in parte per raggirare paletti imposti dal Fair Play Finanziario - c'è il calcio legato alle sponsorizzazioni gonfiate. Che poi, se si va ad analizzare bene questo aspetto, non è cambiato praticamente nulla. I soldi che prima venivano spesi personalmente da un proprietario, ora vengono spesi tramite la propria azienda che fa da sponsor al club. Come si dice in questo caso? Ah sì, fatta la legge trovato l'inganno.

Negli ultimi mesi nel mondo del calcio è partita la caccia a queste fantomatiche sponsorizzazione gonfiate. C'è solo un piccolo, ma determinante, dettaglio: chi determina la cifra giusta per una sponsorizzazione nel mondo del calcio? Ci sono dei parametri che stabiliscono questa cifra?

Naturalmente il riferimento - più o meno - può essere dato dal valore di mercato su caratteristiche simili di un club. Se una società di media classifica della Serie A incassa 3 milioni di euro per il main sponsor, le aziende non investiranno cifre molto differenti per un club dello stesso livello. Ma se il proprietario di quella stessa azienda è anche proprietario del club? Proprio in Italia ci sono due casi studio importanti da questo punto di vista.

Fiorentina e Sassuolo incassano dal main sponsor rispettivamente 25 e 18 milioni di euro. Il loro sponsor principale è l'azienda di famiglia della proprietà, Mediacom per quanto riguarda la viola e Mapei - che sponsorizza anche il nome dello stadio - per quanto riguarda i neroverdi. Cifre superiori a società come il Napoli, la Lazio e la Roma che sicuramente negli ultimi anni hanno avuto un rendimento migliore in campo.

Antonin Barak of ACF Fiorentina gestures during the Serie A...
La maglia della Fiorentina con lo sponsor Mediacom / Insidefoto/GettyImages

Fare la guerra alle sponsorizzazioni gonfiate ha davvero poco senso, non c'è una regola - ad oggi - che stabilisce un importo massimo per le sponsorizzazioni (possiamo dire la stessa cosa per le plusvalenze) e per una proprietà ambiziosa, con alle spalle aziende extra calcistiche di grande valore, questo è l'unico modo per alzare l'asticella e provare a migliorare i propri risultati calcistici. Diverso è il discorso per le sponsorizzazioni fittizie, cioè legate ad aziende inesistenti e/o con un fatturato addirittura inferiore a quello investito nei club.

Sponsorizzare con cifre più alte rispetto al "valore di mercato" può essere un vantaggio ma anche uno svantaggio. Fino a quando un presidente come Commisso - per fare un esempio - decide di rimanere in sella alla Fiorentina, investendo anche cifre importanti per la sponsorizzazione del club tramite l'azienda di famiglia, non può che far bene al bilancio del club viola. Il problema sussisterà quando il presidente viola deciderà di cedere la società, disinvestendo nel club e quindi verranno meno quelle cifre del main sponsor - fuori mercato - incassate dal club durante la sua era.

Ma regolamentare - eventualmente - le cifre per le sponsorizzazioni rischia di paralizzare il calcio ad ogni livello, costringendo piccole realtà sportive a rimanere tali per l'impossibilità di alzare i ricavi (una stagione a sorpresa ci sta, proseguire su livelli superiori alle proprie possibilità economiche non è invece facile). Perché se oggi - per esempio - il Sassuolo con la Mapei può competere in Serie A, senza i soldi dell'azienda di famiglia, rischierebbe di non avere la forza economica per rimanere stabilmente nella massima serie italiana. O semplicemente sarebbe difficile, se non impossibile, ritrovarsi davanti a escalation - al altissimo livello - come quelle del Paris Saint-Germain, Chelsea e Manchester City (per fare tre nomi su tutti) che prima dell'arrivo delle rispettive ricche proprietà, non godevano dello status attuale.