L'epopea di Paolo Rossi: carriera, goal ed imprese de "l'Hombre de Mundial"

Paolo Rossi
Paolo Rossi / 90min Italia
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Il mondo del calcio e gli appassionati di pallone tutti piangono e ricordano Paolo "Pablito" Rossi, tristemente scomparso nella notte a causa di un male incurabile, che lo porta via dalla moglie Federica e dai tre figli Sofia Elena, Maria Vittoria ed Alessandro. Sempre nel cuore e nelle menti degli italiani che han potuto godere delle sue prestazioni e dei suoi goal in quel celebre Mondiale del 1982, in Spagna, Paolo Rossi non era e non sarà mai un semplice "attaccante di provincia"; dall'esplosione col Vicenza al Calcioscommesse, passando per il Mondiale e per l'esperienza avuta con la Juventus. Ripercorriamo la carriera e la storia di uno dei più forti attaccanti del panorama italiano, e non solo.

Originario di Prato, dove nasce nel Settembre 1956, Paolo Rossi cresce calcisticamente nel Santa Lucia prima e nell'Ambrosiana poi, giocando col fratello Rossano in entrambe le società pratesi, per dirigersi successivamente a Firenze, in una delle società principali del tempo, la Cattolica Virtus. Proprio qui il giovane toscano strega l'allora responsabile del settore giovanile della Juventus, Luciano Moggi, che lo descrive ad Italo Allodi, direttore tecnico bianconero, come un ala d'attacco scattante, seppur dal fisico esile. Dopo un periodo di riflessione e mediazione con la famiglia, inizialmente restia, Allodi e Moggi portano a Torino, sponda juventina, il giovane Paolo (estate 1972). Il "piccolo Garrincha", come viene soprannominato e descritto da Allodi nei confronti di Boniperti, ha sulle proprie spalle grande pressione, ci si aspetta parecchio da lui, ma il suo fisico non sembra essere d'accordo; finisce sotto i ferri per ben tre volte nelle prime due stagioni e mezzo, rischiando di compromettere la sua carriera sin da subito. Nonostante le tre asportazioni di menischi, Paolo Rossi esordisce con la maglia bianconera in un match di Coppa Italia, a Cesena, di fianco a grandi del calcio come Zoff, Gentile e Causio, nel 1974.

Alessandro Sabattini/Getty Images

Inizia quindi una girandola di prestiti per il giocatore nativo di Prato, dopo altre due sole presenze nella stagione successiva con la Juventus. La prima esperienza lontana da Torino avviene a Como e con la società lariana le cose non sembrano migliorare: Rossi, infatti, disputa appena 6 presenze complessive in Serie A con la squadra guidata da Osvaldo Bagnoli e la Juventus, che ne conosce e ne difende le qualità indiscusse, è costretta a vagliare un'altra ipotesi di prestito. Nell'estate 1976 la dirigenza bianconera riesce a convincere il Lanerossi Vicenza, società che lo acquista in compartecipazione con la Vecchia Signora: i biancorossi militano in Serie B ed è proprio nella serie cadetta che Pablito esplode definitivamente. Il tecnico emiliano G.B. Fabbri ne consacra le doti, spostandolo da esterno d'attacco ad attaccante centrale, dopo averne apprezzato l'esplosività, la capacità di inserimento e la rapidità nello stretto. Ecco quindi, in 36 presenze di campionato, 21 reti alla prima stagione, da titolare inamovibile, che valgono la promozione in Serie A del Lanerossi e la vittoria del titolo di capocannoniere. La seconda stagione coi veneti segue le orme della prima: dopo un avvio stentato, il Vicenza sembra trovare la quadra a metà campionato, con Rossi che segna due doppiette a Roma e Fiorentina, un gol al Perugia ed uno proprio ai bianconeri di Torino, che in estate avevano deciso di non riscattarlo, preferendogli Paolo Virdis. Il Vicenza, da neopromosso, grazie anche ai gol significativi dell'amato bomber toscano, arriva al secondo posto, perdendo la finale scudetto con la Juventus, nel Maggio 1978. Ma c'è un'ulteriore soddisfazione per Pablito: il CT della Nazionale Enzo Bearzot decide, infatti, di convocarlo per il Mondiale '78 in Argentina, dove l'attaccante segna tre gol e finisce della Top 11 della competizione, consacrandosi ormai definitivamente nel panorama mondiale.

AS Photo Archive
AS Photo Archive / Alessandro Sabattini/Getty Images

Dopo una seconda incredibile stagione col Vicenza, questa volta in senso negativo, dato che la squadra veneta retrocesse in Serie B, in modo abbastanza clamoroso visto il secondo posto dell'anno prima, ecco l'approdo al Perugia, giovane società che tentava di affermarsi tra le provinciali del nostro campionato. La società umbra lo strappò da Vicenza attraverso la formula del prestito per due anni, permettendosi di acquistare un simil fenomeno anche grazie alla prima sponsorizzazione di maglia; per la prima volta, infatti, una divisa da gioco veniva griffata con un marchio commerciale, rompendo il presidente D'Attoma questo tabù. La stagione in maglia perugina è soddisfacente dal punto di vista realizzativo: 13 reti in 28 gare di campionato ed una segnata in quattro gare di Coppa UEFA, ma accade, nella primavera del 1980, un qualcosa di estremamente inaspettato: Paolo Rossi, infatti, finisce al centro dello scandalo legato al Calcioscommesse, venendo arrestato assieme ad altri due perugini ( Della Martira e Zecchini) per essere ritenuto complice nella combine di Avellino-Perugia, terminata 2-2 grazie ad una sua doppietta. La sentenza è cruda, inimmaginabile per un uomo tanto umile ed onesto: viene fermato dalla Disciplinare, non potendo giocare né per il Perugia né per la Nazionale, perdendo così l'Europeo 1980. Rossi è sconvolto, ed ancora non è finita: pur professandosi innocente, viene condannato dalla Giustizia Sportiva a tre anni di squalifica, poi ridotta a due dalla CAF.

Alessandro Sabattini/Getty Images

"Quell’estate (1980) mi allenai qualche volta con il Vicenza ma senza voglia. Provavo disgusto per il calcio. Ho pensato di andar via dall’Italia, di smettere. Dissi: 'Non mi vedrete più in Nazionale'. La cosa peggiore era il sospetto della gente, quegli sguardi… e le notti del sabato, sapendo che al risveglio non c’erano partite ad aspettarmi. Mi ha salvato la consapevolezza di essere innocente. E la Juve".
Sì, la stessa Juventus che lo acquistò per prima, diede a Paolo Rossi la possibilità del riscatto: Giampiero Boniperti versa nelle casse del Vicenza 3,3 miliardi di lire per rilevarne il cartellino e dà il via alla rinascita di Pablito. Subito in gol dopo la squalifica, il 2 Maggio 1982, contro l'Udinese, poi il primo grande ed indimenticabile Scudetto in maglia bianconera ed a seguire, a sorpresa quasi, la convocazione. Sì, in Azzurro, a discapito di Pruzzo. Paolo Rossi vola in Spagna, a vivere i Mondiali, dove però non sembra essere lui. Dopo un girone di qualificazione passato per la miglior differenza reti col Camerun, in cui Rossi sembra essere il fantasma di quel giocatore scattante e decisivo apprezzato sino a pochi mesi prima, l'Italia finisce nel gironcino dei quarti di finale con l'Argentina ed il super favorito Brasile di Telè Santana. Torna Paolo Rossi.

Storica tripletta alla Seleçao di Zico, doppietta in semifinale contro la Polonia di Boniek e gol del momentaneo 0-1 in finale, contro la Germania di Rummenigge. Nasce ufficialmente il mito del Hombre de Mundial, attaccante col numero 20 sulla schiena che fa ricredere qualsiasi critico, qualsiasi giornalista, decidendo il Mundial '82 coi suoi gol, portando l'Italia a trionfare per la terza volta nella sua storia e vincendo il titolo di Capocannoniere del torneo. Detiene, assieme a Roberto Baggio e Cristian Vieri il record di gol azzurro ai Mondiali (9) ed in quell'anno fu il primo giocatore a vincere contemporaneamente Mondiale, titolo di miglior marcatore e Pallone d'Oro. Niente male, insomma, per un giovane che in pochi mesi passò dall'essere mal visto, criticato, sgradito in qualsiasi rosa a Campione del Mondo ed uomo decisivo in campo. La resurrezione è completata.

Alessandro Sabattini/Getty Images

Il riscatto avviene anche in maglia Juventus: conquista la Coppa delle Coppe grazie ai due gol messi a segno nelle due semifinali contro il Manchester United ed il 2-1 in finale contro il Porto. In quella squadra, dove militano anche Platini e Boniek, qualcosa però si spezza: la Juventus vince Campionato e Coppa dei Campioni, ma Paolo Rossi è infelice, segna con scarsa regolarità e viene spesso sostituito. Dopo 44 gol in 138 presenze lascia Torino, per accasarsi e chiudere la carriera prima al Milan e poi al Verona (dove contribuisce alla storica qualificazione in Coppa UEFA, grazie a 7 reti in 28 presenze). Decide di ritirarsi a soli 30 anni, a causa della debolezza delle proprie ginocchia e, probabilmente, un feeling col gol mai più ritrovato dopo l'entusiasmante e brillante esperienza ai Mondiali spagnoli del 1982.

Attaccante veloce, abile negli spazi, ricco di doti tecniche e di opportunismo in area di rigore. Lascia il mondo del calcio a soli 64 anni uno degli attaccanti icona degli anni '80, modello per tanti giovani calciatori del tempo, esempio di vita anche fuori dal campo. 128 reti segnate tra squadre di club e Nazionale; impossibile sarà dimenticare un attaccante tanto prolifico che, nella notte di quell'ormai lontano 11 Luglio 1982, fece impazzire di gioia 60 milioni di persone. Grazie Pablito.


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