De Ligt: "Vi spiego come ho scelto la Juve. Buffon ha 29anni. L’arte di difendere è sempre aspettarsi il peggio"

Matthijs De Ligt
Matthijs De Ligt / Jonathan Moscrop/Getty Images
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Matthijs de Ligt, perno della Juventus tra presente e futuro, è stato intervistato dal Telegraph, e ha raccontato del suo arrivo in bianconero ma anche della sua esperienza in questi primi anni di Juventus.

Le voci sullo United e la scelta Juve?

Onestamente, non ho mai sentito nulla dallo United.. È stato come a scuola, come con la matematica, un lungo processo. Metti i pro e i contro e alla fine ho scelto la Juventus. Sono dove voglio essere e dove posso imparare il più possibile. Ci sono ragazzi esperti – Chiellini, Bonucci – ma anche un portiere come Buffon e Cristiano Ronaldo”. 

I veterani della Juve?

"Abbiamo tutti diverse caratteristiche e non cerco di copiarli, ma guardo Ronaldo e vedo cosa fa, come rimane sempre in forma. Chiedo suggerimenti, consigli. Quello che ho imparato è anche che ho bisogno di fare le cose che mi fanno bene. Alla fine si trova il ritmo".

Matthijs de Ligt
Matthijs de Ligt / Quality Sport Images/Getty Images

Buffon?

"Beh, potrebbe essere mio padre! È divertente perché quando vedo il modo in cui si comporta non penso che abbia il doppio della mia età e questa è anche la sua forza e il motivo per cui sta ancora giocando. Gioca con la testa come un 29enne".

Il Porto?

"In ogni partita sento la pressione, vuoi mostrare al mondo che meriti di giocare per la Juventus. Ovviamente la Champions League dà un’atmosfera speciale, ma alla fine la concentrazione è la stessa. Ogni allenatore ha le sue caratteristiche, ma alla fine alla Juventus abbiamo il nostro DNA: si tratta di vincere. Non importa come, questo non cambia”.

Qual è la tua filosofia di gioco?

"L’arte di difendere è sempre aspettarsi il peggio. Ci sono molti giocatori che scommettono che andrà bene per la squadra, ma io penso sempre ‘e se il mio compagno perdesse la palla? E se l’avversario mettesse dentro il cross?”. Penso sempre in questo modo ed evito di farmi sorprendere, così da essere il più veloce o più forte possibile, altrimenti si arriverebbe sempre un secondo o un millisecondo in ritardo. È la cosa più importante che ho imparato qui”.

Ramsey?

"Forse l’ho aiutato più io ad ambientarsi. Parlavo italiano prima di lui! No, ci siamo aiutati a vicenda”.


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