Inter, Cambiasso ricorda: "Il Triplete non poteva sfuggirci". Poi un pensiero sull'addio di Mourinho per il Real
Esteban Cambiasso, una delle colonne dell’Inter del Triplete, è protagonista di un’intervista rilasciata al giornalista Paolo Condò per il libro ‘La Storia dell’Inter in 50 ritratti’. L'argentino ripercorre ovviamente anche la leggendaria cavalcata nerazzurra del 2010: “Per il cammino che avevamo percorso. Il salvataggio di Kiev. L’impresa di Londra. La partitissima col Barça a San Siro e la straordinaria resistenza del Camp Nou. E poi lo Scudetto praticamente perduto e poi rivinto. Il Triplete non poteva sfuggirci, non dopo aver passato così tante prove per esserne meritevoli. Si viveva in una specie di nirvana. Rischioso a pensarci, ma bellissimo. (…) Se per caso fosse stato il Bayern ad andare in vantaggio, non ci saremmo persi d’animo. Eravamo preparati anche alla rimonta”.
Giocate la finale sapendo che per Mourinho sarà l’ultima partita da allenatore dell’Inter?
“Non ufficialmente. In realtà se ne parla da un po’, e io immagino che ci sia qualcosa di vero. Inoltre, il mattino della partita tutti i giornali sportivi spagnoli mettono Mou in prima pagina scrivendo che dal fischio finale sarebbe stato l’allenatore del Real Madrid. Io ho giocato nel Real, conosco dinamiche e rapporti, se tutti i giornali ce l’hanno vuol dire che è una velina e dunque la cosa è pressoché ufficiale. In ogni caso nessuno di noi ci pensa. Siamo troppo concentrati sul traguardo. (…) L’ufficialità del suo arrivo mi arriva un paio di giorni dopo, quando ormai sono in spiaggia”.
Non vi siete mai salutati davvero, vuol dire?
“Se devo giudicare in base all’abbraccio con Materazzi nel garage, quando scoppia in un pianto dirotto, io credo che Mourinho abbia scientificamente evitato un addio ufficiale. A quel punto della sua carriera, il Real era una scelta inevitabile, ma lasciare quell’Inter gli costò moltissimo da un punto di vista che generalmente nasconde. Quello umano”.
Il rientro nella notte vi porta a San Siro, a festeggiare con la vostra gente. Ma senza Moratti.
“Ci disse di sentirsi esausto, per la stanchezza e la tensione accumulata, ma ci ho sempre creduto poco. Reggendo la coppa col capitano Zanetti, quella notte entrò in testa a tutti suo figlio Mao. Secondo me il presidente volle fargli quel regalo, lo stesso ricevuto all’epoca da suo padre Angelo. Moratti è il tipo che si commuove per queste cose. È il motivo per cui piaceva tanto a noi giocatori”.
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