Il Grande Torino: la storia della squadra leggendaria
Di Milo Zatti
Nel mondo del calcio ci sono date che, per molte ragioni diverse, sono destinate a rimanere nella memoria collettiva. Alcune per esempio, come il 9 luglio 2006, sono diventate famose perché ci ricordano di grandi trionfi, altre invece, come il 5 maggio 2002, perché sono da tempo diventate uno "sfottò" comune tra tifosi. Tuttavia, al di là di queste, c'è un'infausta data nella storia del calcio italiano che per importanza supera tutte le altre, il 4 maggio 1949. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, quello fu il giorno quando l'aereo che trasportava il Grande Torino si schiantò sulle colline di Superga causando la scomparsa di una delle più grandi squadre italiane di tutti i tempi.
Per onorare la memoria di quei grandi campioni e delle loro gesta ci è sembrato doveroso raccontare la loro già celebratissima storia proprio nel giorno del settantunesimo anniversario dalla loro scomparsa. Ecco quindi la storia del Grande Torino.
Gli inizi
La nascita del Grande Torino è tradizionalmente legata all'arrivo dell'industriale Ferruccio Novo come nuovo presidente della squadra nel 1939 in sostituzione dell'ingegner Giovanni Battista Cuniberti. Novo aveva le idee chiare sul da farsi ed era molto determinato a portare i granata tra le grandi del calcio italiano. Fino a quel momento infatti, il Torino aveva vinto solamente un campionato nella stagione 1927-1928 ed una coppa Italia nella stagione 1935-1936. L'industriale piemontese capì che per poter realizzare il suo progetto aveva bisogno di un cambio radicale nell'organizzazione della società. Per questo riorganizzò il Torino ispirandosi alla alla politica sportivo-imprenditoriale istituita con notevole successo da Edoardo Agnelli nella Juventus durante la prima metà degli anni 1930. In più, seguì i consiglio di Vittorio Pozzo, reduce da due vittorie consecutive ai mondiali e rese la gestione più simile ai modelli delle squadre inglesi, allora all'avanguardia, inoltre si circondò di collaboratori competenti in tutti i settori della società.
Al di la della riorganizzazione societaria, Novo lavorò anche sugli acquisti portando a Torino sia giovane promesse come Franco Ossola (dal Varese) che campioni collaudati come Pietro Ferraris (dall'Ambrosiana Inter) , Romeo Menti (dalla Fiorentina), Alfredo Bodoira, Felice Borel e Guglielmo Gabetto (dalla Juventus). Infine l'ultima cosa che fu rivoluzionata fu il modulo di gioco: fino ad allora infatti le squadre italiane avevano giocato con il cosiddetto "metodo" WW, un 2-3-2-3 con spiccate tendenze difensive la cui forza offensiva era data sopratutto dal contropiede, Novo decise invece, dietro suggerimento, di adottare come modulo il "sistema" WM, un 3-2-2-3, che era stato "inventato" in quegli anni dall'allenatore inglese Herbet Chapman e che garantiva più dinamicità ed equilibrio alla squadra oltre ad un maggiore controllo sulla zona nevralgica del terreno di gioco: il centrocampo. I successi non arrivarono subito con i granata che negli anni gradualmente si avvicinarono di più al primo posto tra il 1939 ed il 1942, tutto era però pronto per la scalata alla vetta.
Il Torino diventa Grande
All'inizio della stagione 1942-1943 il Torino era pronto a fare il grande salto, i lavori di ristrutturazione furono completati aggiungendo alla già impressionante rosa anche l'elegante regista Valentino Mazzola e l'energica ala Ezio Loik dal Venezia oltre che il roccioso mediano Giuseppe Grezar dalla Triestina. Grazie a questi acquisti ed al lavoro degli ultimi anni infine il Torino riuscì, nella stagione 1942-1943, a vincere il campionato dopo una estenuante lotta con il Livorno. Nello stesso anno i granata vinsero anche la coppa Italia, diventando la prima squadra italiana a centrare il double. L'anno successivo il Torino perse in finale contro lo Spezia il particolare campionato di guerra disputato in quella parte di Italia settentrionale che rimaneva nelle mani della Repubblica Sociale Italiana. Dopo la fine della guerra, il campionato nazionale riprese e cosi anche le vittorie del Torino.
La squadra di Novo era diventata oramai incontenibile, vinse infatti 4 campionati di seguito infliggendo devastanti sconfitte alle rivali e e stabilendosi fermamente come la compagine dominante del calcio italiano. Oltre alle vittorie arrivarono anche i record: nella stagione 1947-1948 grazie ad una vittoria per 10-0 sull'Alessandria il Torino realizzò il maggior numero di reti in una partita dall'istituzione del girone unico, nello stesso anno con 125 goal stabilì il record per maggior numero di marcature in un campionato; nelle stagioni tra il 1943 e 1949 entrò anche nel record per maggior numero di partite casalinghe consecutive senza sconfitta: ben 88. Inoltre, i granata erano talmente più forti di chiunque altro che nella primavera del 1947 il commissario tecnico della nazionale Vittorio Pozzo portò 10 giocatori del Torino su 11 per la partita contro l'Ungheria, questa rimane la partita della nazionale con il maggior numero di giocatori provenienti dalla stessa squadra in campo. Insomma, il Torino era diventato davvero una potenza inarrestabile, ma un destino crudele attendeva al varco quei campioni tanto amati.
La tragedia di Superga e l'impatto culturale.
Il primo maggio del 1949 il Torino partì per il Portogallo dove avrebbe giocato una partita commemorativa contro il Benfica che era stata organizzata dai capitani delle due squadre, Valentino Mazzola e Francisco Ferreira, quando si erano incontrati con le maglie di Italia e Portogallo in una partita giocata a Genova nel febbraio dello stesso anno. Rientrando da Lisbona, il 4 maggio 1949, il trimotore FIAT G. 212 delle Avio Linee Italiane trovò una fitta nebbia che avvolgeva Torino e le colline circostanti. Alle ore 17:05, fuori rotta per l'assenza di visibilità, ma soprattutto per il malfunzionamento dell'altimetro, l'aeroplano si schiantò contro i muraglioni di sostegno del giardino posto sul retro della Basilica di Superga. L'impatto causò la morte istantanea di tutte le trentuno persone di bordo, fra calciatori, staff tecnico, giornalisti ed equipaggio.
La tragedia ebbe immediatamente risonanza sulla stampa mondiale e generò subito molta emozione tanto che il giorno del funerale quasi un milione di persone scesero in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto alla squadra. Il rispetto che i granata si erano guadagnati nel corso degli anni gli guadagnò poi tributi da parte di varie squadre europee e mondiali tra cui appunto il Benfica, il Real Madrid ed il River Plate. In particolare, il presidente della squadra argentina, Antonio Liberti, decise di organizzare un'amichevole tra la squadra di Buenos Aires e una selezione di stelle del calcio italiano provenienti da Juventus, Milan, Inter, Novara e Fiorentina chiamata "Torino Simbolo" il cui incasso venne devoluto ai familiari dei giocatori scomparsi. In più, da quel momento il River ha molto spesso scelto di indossare una maglia color granata come seconda divisa in ricordo del Grande Torino. Inoltre, nel tempo, la squadra è stata oggetto di numerosi film, documentari, libri ed articoli che da allora ad oggi hanno voluto tener viva la memoria di una compagine straordinaria del nostro calcio ed hanno voluto rendere omaggio ai grandi campioni che ne hanno fatto parte.
Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". (Indro Montanelli dal Corriere della Sera del 7 maggio 1949)
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