C'era una volta il Grande Torino: 72 anni dalla tragedia che scosse il mondo del calcio
Il calcio nella sua secolare storia è stato in grado di suscitare ogni tipo di emozione, che essa sia positiva o negativa. Grandi trionfi, cocenti sconfitte, campioni e squadre leggendari, trofei storici. Oggi, 4 marzo del 2021 ci svegliamo con l'Inter Campione d'Italia da 48 ore e con i ritorni delle semifinali di Champions League che si prospettano molto accesi, ma nonostante ciò non riusciamo ad essere pienamente felici.
Il 4 marzo per la storia del calcio italiano (e di quello in generale) è un giorno drammatico, un giorno che vede finire la storia di una squadra così forte che solo le forze naturali sono state in grado di sconfiggere. Un team capace di vincere ben cinque campionati di fila dal 1942/43 al 1948/49, costruendo una squadra che resta ormai negli annali del calcio. Il Grande Torino per anni ha dominato la scena calcistica italiana, costruendo anche la base della Nazionale Italiana in quegli anni, ben 88 partite senza sconfitte in casa, nel magico Filadelfia, tra il 1943 e il 1949 (alcune giocate anche dopo la tragedia). L'anno d'oro fu il 1947/48, dove fu stabilito il record di maggiori marcature in un singolo campionato, 125, e il maggior numero di reti realizzate in una singola partita dall'istituzione del girone unico, il 10-0 all'Alessandria del 2 maggio 1948.
Il Grande Torino prende forma 10 anni prima, nel 1939, quando l'imprenditore Ferruccio Novo, tifosissimo del Torino ed ex calciatore delle giovanili, da semplice consigliere diventa presidente del club. Novo rivoluziona il Torino sul piano dirigenziale assumendo una politica sportivo-imprenditoriale, già molto in auge tra i migliori club di Serie A di quegli anni. Il primo grande acquisto fu il diciottenne Franco Ossola, preso dal Varese per 55.000 lire. Dopo un settimo posto, in cui Ossola fa vedere il suo valore con 15 gol in 22 presenze, Novo decide di applicare al suo Torino la tattica del ''sistema'', nuovo modulo molto efficace in quegli anni. Arriva ad allenare l'ungherese Kuttik e il Torino ottiene un secondo posto nella stagione 1941/42.
La stagione successiva vengono acquistati dal Venezia Loik, un ala molto veloce e fisica, e il regista uomo-gol Mazzola per 1.200.000 lire, che andranno a comporre la rosa del primo Grande Torino, con i portieri Bodoira e Cavalli; i difensori Ferrini, Ellena, Piacentini e Cassano; a centrocampo Baldi e Gallea, davanti Menti ,Ferraris, Gabetto e Ossola. Subito doppietta con la vittoria del campionato all'ultima giornata, dopo aver fronteggiato la sorpresa Livorno, e con la vittoria della Coppa Italia proprio contro il Venezia da cui avevano comprato Mazzola e Loik.
Nel 1944 l'Italia era stremata dalla guerra, divisa dalla linea gotica con gli americani che avanzavano da una parte e il regime fascista dall'altra. Per evitare la chiamata alle armi per i propri calciatori alcuni club di Serie A trovarono uno stratagemma appoggiandosi alle industrie più importanti del paese, ad esempio il Toro con la FIAT, dove di fatto vennero anche impiegati i calciatori. In quella stagione la federazione decise di giocare un campionato a gironi. Il Torino giocò il Campionato di guerra 1944 nel girone Ligure-Piemontese, dove affronta e sconfigge facilmente Genoa, Biellese, Alessandria, Novara e Juventus. Nel girone di semifinale incontra Juve, Inter e Varese, passerà poi nel girone finale con Spezia e Venezia, dove perderà poi.
Torna nel 1945 con la fine della guerra il campionato e il Torino riprende con lo scudetto sulle maglie. Arrivano intanto il portiere Bacigalupo, i terzini Aldo Ballarin e Maroso, i centrocampisti Rigamonti e Castigliano. L'allenatore sarà Luigi Ferrero. Il campionato 1945/46 fu unico nella storia: per la prima volta dal 1929 non si disputava a girone unico. Nel nord si giocò il campionato dell'Alta Italia, ufficialmente Divisione Nazionale, e al sud un torneo misto con squadre di Serie A e Serie B. Il Grande Torino vinse sia il suo girone, davanti a Inter, Juve e Milan, sia quello finale a suon di goleade superando in campionato la Juventus all'ultima giornata, terzo scudetto della storia, il secondo da quando c'è Novo.
Nel campionato 1946/47 si torna al girone unico e il Torino non apporta grandi modifiche alla squadra, torna Menti, arrivano Martelli e Rosetta. A guidare quella squadra formidabile c'è ancora Ferrero sulla panchina, il Grande Torino conquista un altro campionato terminando con numeri eccezionali: 28 vittorie e 104 gol segnati nelle 38 di campionato, con Valentino Mazzola capocannoniere, ben 29 centri per lui. I granata riescono a fare anche meglio nella campionato successivo, il 1947/48, quello che resterà come il più lungo della storia: a causa del ripescaggio della Triestina si giocò un campionato con 21 squadre suddiviso in 40 giornate, con una che riposava ogni giornata. Intanto c'è un avvicendamento sulla panchina del Torino, lascia Ferrero, arriva Mario Sperone, con Roberto Copernico direttore tecnico.
Arrivano anche Ernest Erbstein come consigliere di Novo e sul campo il terzino Tomà dello Spezia e l'attaccante rumeno Fabian. Il Grande Torino continua a regalare gol e spettacolo, stabilisce il record di marcature in una singola partita nel 10-0 con l'Alessandria e termina il campionato vincendo 29 partite su 40, con 125 gol segnati (i migliori marcatori furono Mazzola con 25 reti e Gabetto con 23), ben 50 in più del Milan secondo, e con 33 reti subite, miglior difesa del campionato. Il Torino, che riposava l'ultima giornata, già certo dello Scudetto decise di partire per una tournée in Sudamerica, dove incontrerà San Paolo, Corinthians, Portuguesa e Palmeiras.
All'alba della stagione 1948/49 la formazione del Torino era sostanzialmente la stessa dei precedenti Scudetti. Sulla panchina intanto si era seduto l'inglese Lievesley ed Erbstein era diventato direttore tecnico. Sul campo arrivano invece il portiere Dino Ballarin, fratello di Aldo, il terzino Operto, i centrocampisti Fadini e Schubert, gli attaccanti Bongiorni e Grava. Viene intanto ceduto Pietro Ferraris, che negli anni precedenti faceva parte stabilmente dell'11 titolare. Nonostante diversi infortuni e qualche alto e basso il Torino terminò la prima metà di campionato in testa, al pari con il Genoa, per poi giungere a quattro giornate dal termine con un vantaggio di quattro punti sull'Inter seconda.
Si giunge così al 1 maggio del 1949, quando il Torino parte alla volta di Lisbona per affrontare il Benfica. Il capitano della nazionale portoghese e del Benfica Francisco ''Chico'' Ferreira in occasione di una gara fra la nazionale portoghese e quella italiana, giocata a Genova nel febbraio del 1949, aveva invitato Valentino Mazzola, capitano del Torino e della Nazionale italiana, ad un'amichevole celebrativa fra i rispettivi club. Mazzola e il Torino accettano e il 1 maggio partono verso Lisbona con un equipaggio di 31 componenti tra giocatori, staff e giornalisti. Non partirono dei giocatori Tomà, infortunato, e il secondo portiere Gandolfi, gli fu preferito il terzo Dino Ballarin. Anche il presidente Novo e il dirigente Copernico non partirono, oltre che al giornalista storica voce sportiva Carosio, che non partì a causa della cresima del figlio.
Il 3 maggio del 1949 il Torino gioca allo Stadio Nazionale di Lisbona davanti a oltre quarantamila spettatori la sua ultima partita, che perderà per 4-3 contro il Benfica. La formazione titolare granata era: Bacigalupo, A. Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. Per il Benfica invece: Contreros, Jacinto, Fernandes, Morira, Felix, Ferreira, Corona, Arsenio, Espiritosanto, Melao, Rogério. Entrarono a partita in corso Fadini per Castigliano e Bongiorni per Gabetto. Nei portoghesi invece il portiere Contreros per Machado, Corona per Batista, Espiritosanto per Julio. Andarono a segno per il Torino Ossola, Bongiorni e Menti, mentre per il Benfica doppietta Melao, Arsenio e Rogério. Il Benfica si aggiudicherà il simbolico trofeo Olivetti messo a disposizione per quel match, a fine partita le due squadre si riunirono per una cena di fratellanza al ristorante Alvalade di Campo Grande a Lisbona.
Il giorno dopo il Torino riparte alle 9:40 dall'Aeroporto di Lisbona a bordo del FIAT G.212 delle AvioLinee Italiane, facendo scalo a Barcellona alle 13, per poi ripartire alle 14:50. Alle 16:55 l'Aeroporto di Aeritalia avvisa delle pessime condizioni meteo, chiedendo anche un rapporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta dell'aereo: ''Quota 2.000 metri. QDM su Pino(Torinese), poi tagliamo su Superga''. Poco più a nord di Pino Torinese c'è la Basilica di Superga, si ipotizza che a causa del forte vento e delle condizioni meteo avverse l'aereo abbia subito una dritta improvvisa spostandosi in direzione della Basilica anziché verso la pista. Alle 17:03 avviene la cosa più brutta: l'aereo si schianta sul terrapieno posteriore della Basilica di Superga alla velocità di 180 km/h. Nessun superstite delle 31 vittime a bordo, i cui funerali si celebrarono in maniera pubblica il 6 maggio e videro la partecipazione di oltre 600.000 persone, tra cui anche rappresentanti del governo e della FIGC. Al Torino verrà consegnato anche quel campionato, che i granata termineranno mandando in campo la formazione della primavera, vincendo tutte le partite restanti contro i pari età delle altre squadre, schierati per rispetto.
Nell'incidente persero la vita: i giocatori Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert e gli allenatori Egri Erbstein, Leslie Levesley, il massaggiatore Ottavio Cortina con i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti ed Ippolito Civalleri.
Morirono inoltre tre dei migliori giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa) ed i membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi.
A ormai 72 anni dalla tragedia, il Grande Torino resta negli annali del calcio, celebrato come una delle squadre più forti di sempre. A distanza di anni e generazioni questo evento resta comunque forte nella storia italiana calcistica e non, e resta impresso nella mente dei tifosi con tanto dolore. Al di là dei colori il Grande Torino è e sarà ricordato come una delle squadre che hanno fatto la storia del calcio, non solo per la tragedia in sé, ovviamente molto dolorosa, ma per come sia stata una squadra capace di rivoluzionare il calcio vincendo tutto e macinando record, una squadra così forte che solo il destino è stata in grado di sconfiggere. Un destino così crudele capace di interrompere l'ascesa di una squadra leggendaria, che ci ha mostrato per la prima volta, e ce lo ha poi ricordato con la tragedia del Manchester United del 1958 e la più recente dei brasiliani della Chapecoense del 2016, come di fronte a tragedie simili non esista colore, maglia o sfottò, ma solo il silenzio, la tristezza e il dolore.
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