Ibrahimovic ripercorre le sue esperienze con Juventus, Inter e Milan

Zlatan Ibrahimovic
Zlatan Ibrahimovic / Jonathan Moscrop/GettyImages
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Zlatan Ibrahimovic ripercorre le tappe fondamentali della sua esperienza in Italia, dove ha vestito le maglie di Juventus, Inter e Milan (in due occasioni). Lo svedese è stato uno degli ospiti d'onore del Festival dello Sport, l'evento organizzato a Trento da La Gazzetta dello Sport. Di seguito i passaggi fondamentali della sua intervista.

Il suo arrivo alla Juventus: “In Italia iniziai nella Juventus di Fabio Capello. Mi diceva che mi avrebbe tirato fuori tutto l’Ajax che avevo dentro. Mi dissi fra me e me ‘iniziamo bene’. Voleva da me più concretezza e da quel giorno sempre, ogni giorno, con Italo Galbiati lavoravamo sempre nei tiri in porta. Capello diceva che la mia tecnica era superiore a Van Basten ma non avevo i suoi movimenti. Abbiamo lavorato su questo aspetto. Trezeguet è stato intelligente perché ha saputo sfruttare bene il lavoro che facevo in campo. Lui faceva tanti gol a me sinceramente mi mancavano. Poi ho capito la mentalità del calcio italiano dove bisogna saper giocare bene e segnare. Dissi a Trezeguet che da quel momento in poi anche io avrei giocato più avanti. Gli scudetti della Juventus sono 38 perché abbiamo lottato ogni giorno dimostrando che eravamo i più forti in Italia. Non sono 37, gli scudetti della Juve sono 38”.

L'approdo all'Inter: "Raiola parlò con Milan e Inter, ero più vicino al Milan: poi loro giocavano i playoff per andare in Champions e dovevano aspettare il risultato. In quel momento il vicino capì la situazione e fece tutto in fretta e chiuse l'affare prima di loro: si parlava tanto, alla fine Mino disse che sarei andato dal primo che arrivava. E fu l'Inter. La semifinale contro l'Inter poi al Barcellona? Sarebbe bello ricordare cosa disse Mourinho a Guardiola: non mi ricordo, ascoltavo Pep. La partita non fu facile: all'andata perdemmo 3-1 a San Siro, ma se c'era il Var magari era un'altra situazione. Ma non c'erano scuse, loro fecero bene: vincemmo in casa, l'espulso gli diede vantaggio perché difesero di più. Nel calcio tutto può succedere, anche cose che non ti aspetti: tutti pensavano vincessimo facile, invece perdemmo. Quel Barcellona era troppo dominante e forte: era la più grande occasione per vincere la Champions. Ma tutti i club in cui ho giocato c'era il potenziale di vincerla".

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La prima esperienza al Milan: "Non era un momento facile per me, l'allenatore voleva vendermi a tutti i costi. Poi è arrivato il Trofeo Gamper contro il Milan, il Milan parlava con Mino per capire che fare. Quando sono venuti a Barcellona, eravamo nel tunnel prima di entrare in campo. Tutti i giocatori del Milan dicevano: "Dopo la partita torni con noi". Nesta, Pirlo, Ronaldinho, dicevano tutti: "Torni con noi". Dopo la partita è arrivato Dinho negli spogliatoi, mi ha preso la mano e mi ha detto: "Dai, andiamo a casa". In queste situazioni non volevo mettere ansia ad Helena. Nel calcio ci sono tante parole, Galliani invece è venuto a casa nostra. Helena non sapeva chi fosse, mi ha chiesto chi è. "È il big boss del Milan". "E che vuole?". "Vuole che andiamo al Milan". E lei: "E cosa aspettiamo allora?".

Il PSG: "Era difficile, questo primo scorcio di vita al Milan mi aveva ridato felicità. Non volevo muovermi dal Milan. Prima di andare in vacanza, so come funziona prima dell'estate, ti arrivano chiamate, ho detto a Galliani: "Per favore posso vederti 5 minuti". Lui mi ha detto di sì. Gli faccio: "Per favore mi prometti che non mi vendi? Non voglio andare via dal Milan, sono felice e la famiglia sta bene". "Va bene, non ti preoccupare". Dopo tre settimane, ero in vacanza, mi chiama Mino. Non rispondo. In un'ora 10 chiamate perse. Capivo che c'era qualcosa che non andava. Rispondo a Mino: "Non voglio andare via, da nessuna parte". Lui: "È già tutto fatto al PSG". "PSG? No no, sto bene al Milan". Hanno venduto me e Thiago Silva in un pacchetto, lui aveva già un accordo. Prima di andare in un club ti immagini come sei in quella maglia, come fai gol in quello stadio. Poi parlavo con Leonardo: "Giochiamo fuori casa in uno stadio da 2mila persone, non mi arriva l'adrenalina". Lui mi ha detto che qualche partita sarebbe stata così. Su Parigi non c'è tanto da dire. Alla fine dico di sì, però mettevo delle clausole nel contratto per far pensare che fossi scemo e non farmi firmare. Dopo 20 minuti mi dicono ok. Allora sono di parola e ho firmato. Dopo queste richieste nel contratto Mino mi fa: "Ma vuoi anche una biciletta nel contratto?". Ho detto sì. E ho avuto la bici (ride, ndr)".

Lo scudetto con il Milan: "È stato lo scudetto da cui ho avuto più soddisfazione. Era una situazione dove la squadra non era favorita, neanche top 4. Erano giocatori che non erano superstar. Non era una squadra in cui era abituato a giocare: ho giocato sempre in squadre favorite. In questo Milan invece era il contrario. Poi non si capiva se vendevano o no, se arrivava un nuovo dirigente o un allenatore nuovo, poi il COVID... Noi eravamo sempre uniti. Abbiamo detto che avremmo fatto passo per passo, un giorno alla volta. Poi chi era pronto mentalmente per fare il sacrificio è rimasto, chi non era pronto è andato via. Poi piano piano si è formato questo gruppo, mai avuto un gruppo così forte di collettivo. Un'atmosfera... Era troppo troppo forte. Non eravamo fenomeni, solo io dai (ride, ndr). Non erano superstar, ma tutti hanno usato la situazione per crescere e far crescere il compagno di fianco. L'anno che abbiamo giocato senza tifosi ci ha aiutato a crescere senza pressione. Avevamo più tempo per arrivare al top. Poi quando siamo arrivati al top hanno fatto tornare il pubblico che ci ha dato un extra boost. Era un gruppo che diventava più forte ogni giorno che passava. Dicevano che avevamo fortuna, bla bla bla, ma alla fine abbiamo chiuso. E quando fai una grande cosa lo vedi e lo senti negli altri. Dopo la partita con il Sassuolo siamo entrati nello spogliatoio e vado in doccia. Due-tre persone piangevano, lo staff piangeva. Da lì capisci cosa hai fatti. Era una cosa in cui nessuno ci credeva. Quando sono tornato ho detto nella prima conferenza che avrei riportato il Milan a vincere: in quel momento ho capito che ci ero riuscito. La soddisfazione è stata differente".

Sul futuro: "Vediamo cosa succede, qualcosa succede. Ho avuto qualche meeting col Milan. Il boss, l'altro boss. Parliamo. Vediamo dove si arriva. È il momento di conoscerci. Poi se uno può portare qualcosa fa effetto, se non può portarlo non fa effetto. Se mi danno il contratto per continuare a giocare fa effetto (ride, ndr)".