Ibrahimovic: "Il Milan ha bisogno di me. Restare a vita? Vi spiego come stanno le cose"
Zlatan Ibrahimovic ha concesso una lunga intervista ai microfoni del Corriere della Sera, parlando della sua nuova esperienza al Milan e del suo futuro, senza tralasciare alcuni aspetti della sua vita sia privata sia pubblica. Queste le dichiarazioni del fuoriclasse svedese.
CORONAVIRUS - "Mi sono preoccupato. Quando all’inizio mi è capitato, ero abbastanza tranquillo, quasi incuriosito, vabbè, voglio vedere cosa è questo Covid. Ha colpito tutto il mondo, una grande tragedia, adesso è arrivato da me. Ero a casa ad aspettare, vediamo cosa succede. Mal di testa, non fortissimo ma fastidioso, una cosa tosta. Ho anche perso un po’ il gusto. E stavo lì tutto il tempo, a casa, incazzato, non potevo uscire, non mi potevo allenare bene. Stare fermo è terribile. A un certo punto parlavo con la casa e davo i nomi ai muri. Diventa un fatto mentale. Ti fissi e ti immagini tutti i mali addosso, anche quelli che non hai. Una sofferenza per quello che senti e per quello che pensi di sentire. Questo virus è terribile e non va sfidato. Distanze e mascherine, sempre".
FAMIGLIA - "MI manca la famiglia. Ma proprio tantissimo. Sono allo stremo, non ne posso più. Vorrei stare con mia moglie e con i miei figli Maximilian e Vincent, che hanno 14 e 13 anni e vivono in Svezia. Andare a trovarli? Ma figurati, ci ho provato. Pioli, il mister, mi ha risposto che non mi posso muovere e che ho famiglia anche a Milanello: dice che lì ho due ragazzi ma qui ne ho 25 e hanno bisogno di me".
RABBIA - "Impazzisco se un compagno sbaglia un passaggio, anche in allenamento. Il problema è chi non si arrabbia. E se faccio un errore io? Io non sbaglio mai. Vabbè, se la prenderanno con me, che problema c’è? Magari con un gesto, una parolina, uno sguardo. Ogni giocatore ha il suo modo di arrabbiarsi. Si prende una responsabilità, sente che è tutto importante".
TALENTO - "Il talento serve se lo coltivi. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare. Ci vuole sacrificio. Cosa sono i 90 minuti della partita? Niente, se non ti sei allenato tutti i giorni e tantissime ore. Più mi alleno e più sto bene. Lo dico a me stesso e agli altri: non mollare mai. Lo spiego in un altro modo: se non ti arrendi, vinci".
MILANELLO - "Mi sento a casa. Ci sto volentieri, sono giornate piacevoli, le persone ti vogliono bene. Dirigenti, mister, compagni, comunicazione, qui funziona tutto. Vero che mi hanno dato la camera di Berlusconi? Non esageriamo. Però mi trattano come un comandante".
FUTURO - "Se voglio restare al Milan a vita? Dico che sto veramente bene, però si vedrà. La vita va avanti e non sai cosa succede. Non ho questo ego così gigantesco da dire che deciderò soltanto io: la mia famiglia è più importante di tutto. Giocare la Champions? A chi non piacerebbe... se posso restare, lo faccio".
MILANO - "Quanto si vive bene, la amo. Dieci anni fa non era così: l’ho ritrovata più gioiosa, vivace, internazionale. La pandemia ha bloccato quasi tutto ma io dico che è soltanto una parentesi. Questa città poi riparte. Dell'Italia mi piace praticamente ogni cosa. In tutti questi anni forse sono stato più qui che in Svezia. È proprio la filosofia del Paese, lo stile di vita, che mi prende: è bello anche andarsene in macchina e vedere i paesaggi che scorrono. E il body language? Ne parliamo? Tu capisci le persone anche quando non dicono niente. La cucina? Vorrei mangiare tutto, sempre, a cominciare dalla pasta. Adesso ho scoperto anche il panettone a più gusti, è strepitoso, però lo posso solo assaggiare".
RITIRO - "L'età non esiste. È soltanto una questione di testa. Continuerò a giocare finché riuscirò a fare quello che sto facendo adesso. Buone feste a tutti".
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