Giuseppe Signori, senza rincorsa
Nei settori giovanili serpeggia da tempo immemore un qualcosa a metà tra uno stereotipo e una maledizione a cui ogni squadra si deve arrendere: un giovane calciatore molto talentuoso, ma basso e gracile verrà sempre scartato, andrà a giocare in una piccola squadra di provincia, e concluderà la sua carriera da campione acclamato da chiunque, nel rimorso della squadra in cui aveva iniziato. Giuseppe Signori a 16 anni, nel 1984, è un giovane talentuoso, ma basso e gracile, viene scartato dall'Inter e inizierà la sua carriera da professionista al Leffe,. La concluderà da campione acclamato da chiunque.
Forse è solo nella carriera che Signori ha preso la rincorsa, in vita sua. Leffe, Piacenza, Trento, di nuovo Piacenza, ma in Serie B questa volta, sono i primi passi che lo porteranno poi ad essere il nono marcatore della storia della Serie A. Gioca ancora da trequartista, il ruolo che più sembra congeniale al suo fisico e ai suoi movimenti, ma una partita gli cambierà la vita e la carriera, contro il Messina: non segna neanche un gol, e offre una buona prestazione, ma niente di eccezionale. Quel Messina lo allenava Zdeněk Zeman, che in quel trequartista dribblomane, attraverso il fumo di una sigaretta, vede un bomber di razza, vede quello che sarà Beppegol.
Zeman l'anno dopo, stagione '89/90, siede sulla panchina del Foggia, e una delle sue richieste è proprio quel ragazzino che giocava nel Piacenza con la maglia numero 10. Desiderio esaudito, quel numero sulla maglia avanzerà un po', diventerà un 11, e con lui avanzerà anche il ruolo vero e proprio di Signori, che si trasformerà in un'ala sinistra non con un semplice vizio del gol, ma una vera e propria dipendenza. Dai 5 gol della stagione passata, passa ai 15 della prima stagione con la maglia rossonera, grazie ai consigli del boemo, rinomato per il suo calcio estremamente offensivo e anche per la forte influenza che il suo gioco ha sui giovani calciatori, in particolare gli attaccanti e i centrocampisti. Basti pensare che Signori è il terzo marcatore della storia della Lazio, recentemente superato da Ciro Immobile, forse l'ultimo promettente giovane allenato proprio da Zeman, negli anni a Pescara.
Il primo anno del duo Zeman-Signori non inizierà benissimo per i pugliesi, che al giro di boa si ritrovano ultimi. A salvare Zeman è un gol (l'ennesimo) del suo pupillo, contro la sua ex-panchina, il Messina, e da quella partita in avanti, il Foggia inizia una scalata che la porterà a pochi passi dalla promozione, sotto il segno del trio delle meraviglie: Baiano, Signori e Rambaudi. La stagione successiva la squadra è ancora più rodata, i meccanismi zemaniani sono stati assorbiti completamente, e questo poteva significare solo una cosa: tanti gol e una promozione nella massima serie. Signori segna 11 gol, tanti quanti ne segnerà poi alla prima stagione in A, che saranno il biglietto d'ingresso nel giro della Nazionale azzurra.
Il primo anno di Signori in A aveva stupito molti (in generale, tutto il Foggia aveva spalancato più e più mascelle), e la Lazio non si lascia sfuggire l'occasione. Ha appena perso Rubén Sosa, trasferitosi all'Inter, un attaccante che i suoi gol li faceva sempre, 40 in quattro anni tra i biancocelesti. Signori arriva a Roma tra l'incertezza dei tifosi, e si fa una promessa: deve fare bene almeno tanto quanto Sosa. Dopo quattro anni, Signori è diventato Beppegol, lo stadio canta "Si chiama Beppe Signori e segna sempre lui" sulle note di "Rumore" di Raffaella Carrà, e di gol ne ha fatti 90. Dopo due stagioni i gol diventeranno 107 in campionato con la maglia degli aquilotti, 127 totali, a soli 22 lunghezze di una leggenda del calcio italiano come Silvio Piola tra i marcatori laziali.
Dalla Z di Zeman, alla serie A, per poi tornare alla Z, ma di Zoff. L'ex-portiere è l'allenatore che lo accoglie nella capitale, crede in lui e gli affida l'attacco, una fiducia che sarà ripagata dal talento di Alzano Lombardo con due titoli di capocannoniere consecutivi, che portano la squadra al quinto e al quarto posto nei primi due anni. In questi due anni Signori non si guadagna solo la squadra (nel '94 diventerà il capitano), ma anche l'affetto incondizionato dei tifosi, che l'anno dopo di riverserà tra le strade per tenerlo stretto a se. Quell'estate, però, è l'estate del Mondiale negli Stati Uniti, quel Mondiale che vide l'Italia perdere all'ultimo calcio di rigore la finale contro il Brasile.
Sacchi convoca Signori, ma la sua rigidità tattica che non si muoverà mai dal 4-4-2, preclude a Signori di giocare nel tandem d'attacco, dove Baggio è affiancato da Massaro o Casiraghi. Signori giocherà pochi minuti da attaccante, si ritrova catapultato a centrocampo, come se Zeman non l'avesse mai salutato "Ciao, bomber", come se i due titoli da capocannoniere di Serie A fossero stati spazzati via, come se nessuno si ricordasse più dei suoi tiri sul secondo palo o di quel gol nel derby che tutti dicono sia bellissimo, ma l'unica cosa visibile è Beppe in preda alle sue esultanze che esce dalla nebbia. Tuttavia, il talento è talento, e riesce ad offrire grandi prestazioni, con due assist importantissimi per il raggiungimento della finale, entrambi a Baggio, Dino prima, e Roberto poi.
A Signori, comunque, non è che andasse bene giocare esterno di centrocampo, non era il suo ruolo, non si sentiva a proprio agio. Chiede a Sacchi di poter giocare da attaccante la finale, confidando anche nelle condizioni precarie di Baggio. E il CT, magnanimo, lo lascia direttamente in panchina. Sappiamo tutti come finì. Il rigore decisivo lo sbaglia proprio Baggio. Signori era già un affermato specialista dei tiri dal dischetto. E se... no, basta. Basta pensarci. Sono passati 26 anni, dobbiamo andare avanti.
Il rigore è uno dei momenti più emotivi e terribili di una partita. Sul dischetto sei solo. L'unico essere umano che vedi è a 11 metri da te, e vuole soltanto che tu sbagli. Una lotta a due, e neanche una lotta pari. Un portiere che non para un rigore lo si perdona sempre, un attaccante che lo sbaglia, rischia di essere marchiato a vita (non pensare a Baggio, non pensare a Baggio, non pensare a Baggio). Beppe, alla Lazio, si cala completamente in questo contesto di solitudine, di paura, di angoscia, e riesce a rispondere con la precisione e l'analisi. Se il Signori in movimento era fantasia, espressionismo puro, una scheggia di un proiettile, se non l'intero proiettile, il Signori che guardava la porta da solo, a gioco fermo, era un altro. Freddo, preciso, calcolatore. Ad una gara di freccette aveva visto che nessun tiratore prendeva la rincorsa. "La precisione è l'unica cosa che conta, la potenza non serve" immagino gli dica il suo mentore che giocava a freccetta, in una nuvoletta accanto a lui. Schiena curva, pallone sul dischetto. Non prendere la rincorsa permette più controllo sulla direzione della palla, ma soprattutto costringe l'estremo difensore a prendere una decisione proprio nel momento in cui il pallone viene appoggiato sul cerchietto bianco dell'area di rigore. Mezzo passo dietro il pallone. A questo punto il portiere deve scegliere. Ed è qui che la tecnica di Signori nel calciare i rigori arriva al suo punto: il ginocchio. C'è sempre un ginocchio un minimo più basso dell'altro, è quello che dà la spinta. Signori lo sa, lo ha imparato e tira sempre dalla parte del ginocchio più basso. In carriera Signori ha segnato 44 rigori su 52. È per questo che nel 2016 lo chiama il Barcellona, che vuole il segreto per il rigore perfetto, da rivelare a Neymar che fino a quel momento sembrava di certo non conoscerlo. È un caso che, da quando è in Europa, fino al 2016 Neymar ha sbagliato 5 rigori su 11, e dopo solo 4 su 32?
Torna a Roma dopo l'amara medaglia d'argento d'oltreoceano, e, sulla panchina, una vecchia conoscenza. Fumo da tabagista d'annata, rughe sul viso che lo invecchiano di una decina d'anni, i polpacci che sentono già il peso di fare i gradoni: è Zdeněk Zeman.
Sarà la stagione migliore della Lazio dai tempi di quella del 1973/74, quella dello scudetto, per intenderci. I biancocelesti riescono ad agguantare il secondo posto, soffiandolo al Parma con un gol al 90° minuto dell'ultima giornata su rigore, non di Signori questa volta. Signori segnò la giornata precedente, regalando la vittoria contro la squadra che ha portato lui e il suo allenatore (e anche Rambaudi, appena arrivato anche lui alla Lazio) ai livelli più alti del calcio italiano, il Foggia. La Lazio perderà, come con lo scudetto, la Coppa Italia contro la Juventus di Lippi, mentre in Coppa Uefa si fermerà ai quarti di finale, comunque il miglior risultato europeo della squadra romana in tutta la sua storia. Beppe segna "solo" 17 gol in campionato, decidendo, per questa volta, di lasciare il titolo di capocannoniere all'argentino Batistuta. Ma non durerà molto.
L'anno dopo, la squadra si riconferma e arriva un ottimo terzo posto, mentre Signori si fa largo tra tutti i cannonieri che avevano provato a spodestarlo e si riprende il trono: di nuovo in cima alla classifica dei gol segnati, per la terza volta, al quinto anno nella massima serie. Signori ringrazia così i suoi tifosi che tanto avevano spinto per farlo rimanere. Già, perché l'estate del '95, Signori non era praticamente più un giocatore della Lazio.
Il presidente laziale aveva accettato l'offerta del Parma di 25 miliardi di lire per il cartellino di Giuseppe Signori. Appena questa cosa si viene a sapere, un corteo di tifosi scendono in strada, delusi e arrabbiati. Cinquemila laziali tra vandalismo, cori, minacce, una vera e propria rivolta popolare, non lontana da quella che qualche anno prima ci fu per il trasferimento di Baggio da Firenze alla Juventus. Il loro re, che avevano letteralmente incoronato sotto la curva, non se ne sarebbe andato, Signori rimane a Roma. E Signori rimane a Roma per davvero. Per la prima volta, una protesta dei tifosi è riuscita a interrompere una trattativa che stava per concludersi da lì a poco. Bisogna dire che il presidente era da solo anche in società, Zoff e Zeman infatti immaginavano già che ci sarebbero stati problemi annunciando questa scelta. Intanto Signori è in Brasile, la notizia lo scombussola non poco, quasi neanche sapeva del suo imminente trasferimento nelle file dei ducali. Dice: "Alla fine deciderò io". E anche se fosse dipeso tutto da lui (e non dalle minacce di morte), probabilmente sarebbe rimasto a Roma. In quell'anno, capocannoniere per la terza volta, dicevamo.
Stagione '95/96, l'ultima di Zeman. Gli acquisti sono importanti: Igor Protti, capocannoniere della stagione precedente proprio insieme a Signori, e un esterno dello Sparta Praga, un certo Pavel Nedvěd. Tuttavia, la Lazio sembra avere un'inflessione negativa, e a fine girone di andata si ritrova dodicesima, così Zeman viene esonerato e torna a scaldare le panchine Zoff, che riesce a recuperare sia Signori (15 gol), sia la Lazio intera, che termina il campionato al quarto posto. Sembra che lo scudetto sia sempre lì a un passo, ma per un motivo o per l'altro, la Lazio in questi anni non sia mai riuscita ad acchiapparlo, pur avendo in rosa il miglior attaccante di quel periodo.
Quando Signori parla dei rimorsi che ha sulla sua carriera, ne racconta uno soltanto: l'aver rifiutato di giocare sulla fascia a centrocampo ai Mondiali USA, e che il non aver vinto nulla con la Lazio non lo turba, perché sa di aver contribuito alla costruzione di quella Lazio che vincerà qualcosa in tutti gli anni successivi alla sua partenza, raggiungendo il climax con lo storico scudetto del 2000. Devo essere sincero, ci credo poco, ma comprendo perfettamente il cercare di nascondere quel fastidio, quel leggero digrignare di denti, quando la squadra per cui hai dato l'anima, e dalla quale hai ricevuto tanto amore, inizia a vincere solo quando te ne vai.
L'ultimo anno alla Lazio non è neanche un anno. Sulla panchina c'è un allenatore che non ha z nel nome, e questo forse lo disturba. È Sven-Goran Eriksson, che, inoltre adotterà un 4-4-2 molto proibitivo per il gioco di Beppegol e più funzionale al nuovo arrivo Mancini, e nella prima parte di stagione verrà relegato spesso in panchina. In una partita contro il Rapid Vienna, Eriksson dice a Signori di andare a scaldarsi, e l'attaccante esegue. Poi l'arbitro fa risuonare il triplice fischio, e Signori si arrabbia non poco. È finita la storia d'amore tra Giuseppe Signori e l'Aquila. In un modo così brusco che probabilmente ha inciso anche sul rendimento del giocatore nel resto della stagione, giocata con la maglia blucerchiata lasciata proprio dal Roberto Mancini che gli aveva soffiato il posto. Alla Samp segna solo 3 gol in 17 partite, e i giornali si apprestano a scrivere per primi: "Giocatore finito?". Come l'anno prima successe a Roberto Baggio. Prima di segnare 22 gol con il Bologna in una stagione.
Ormai ai cancelli del presidente Cragnotti non sono 5000 come nell'affaire Parma, ma 50 appena, la magia era flebile, ormai. Signori alla Samp era solo in prestito, ma, tornato a Roma, subito viene messo sul mercato. Quale miglior scelta di un Bologna orfana di un campione rigenerato come Baggio, andato all'Inter? Poi con Mazzone in panchina, ce ne sono ben due di z. Nell'estate del '98 si conclude l'affare, e i rossoblu gli offrono la maglia 11 che portava, larghissima, alla Lazio. Rifiuta, quel numero è solo per i biancocelesti. Prende la 10 del suo amico Baggio, sperando nel suo potere taumaturgico. E alla fine si scopre che a volte il pensiero magico funziona, perché Signori segna 84 gol nelle sei stagioni all'ombra delle due Torri, sembra tornato quello che sfrecciava verso la porta, che non andava mai sull'esterno, che non la passava mai dietro, che tirava bombe atomiche con la delicatezza di un corpo minuto, che sembrava volare come una nuvola, con quella maglia larga che si gonfiava tutta. In realtà, non aveva mai smesso di esserlo, solo quell'anno tra Lazio e Samp, solo quella piccola pausa per poi continuare a segnare a ripetizione, fino a diventare il nono marcatore dell'intera storia della Serie A. Dopo il Bologna una tournée con il Milan, e dei cameo in Grecia e Ungheria, ma il calcio lui lo lascia lì, al Dall'Ara, in un Bologna - Lecce con poche emozioni sul campo, e tantissime sugli spalti. In panchina Mazzone lo sostituisce per regalargli la standing ovation. Passa la fascia da capitano. Con 188 gol, 3 vittorie della classifica cannonieri e nessuna coppa alzata, si conclude la carriera di Beppegol. Questo è tutto, Signori.
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