Gianluca Vialli, vittorie e delusioni

Vialli contro il Nantes, durante la semifinale della seconda Champions vinta dai bianconeri
Vialli contro il Nantes, durante la semifinale della seconda Champions vinta dai bianconeri / Etsuo Hara/Getty Images
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Gianluca Vialli viene da una famiglia benestante di Cremona, e il suo debutto nella Cremonese, in C1, non è segnato da nessun evento particolare, nessun legame con il futuro, nessun avvenimento straordinario, nessun record, nessuna coincidenza. Questo quasi mi infastidisce, assuefatto come sono a guardare il calcio con quel pensiero magico che, in fondo, affascina tutti. Vialli invece sembra quasi rompere questa retorica hip-hop del ragazzino povero che ce l'ha fatta, o del fato che guida le sue gesta e i suoi gol.

Persino se si guardano le sue statistiche, il ritratto che questi numeri ci regalano di Vialli, è di un giocatore che certamente ha segnato innumerevoli gol, ma che non sia mai riuscito realmente a sfondare, che non sia mai riuscito a diventare leggenda, o almeno questa è la mia impressione mentre guardo la sua pagina Wikipedia. Ancora, però, Vialli mi colpisce alle spalle con la sua storia, e quella delle squadre dove è stato, ma in particolare con la sua bacheca che può ospitare 4 Coppe Italia, 2 Scudetti, 1 Coppa UEFA e 1 Champions League tra i premi più importanti, tutte competizioni vinte con lui come protagonista.

Ecco, forse in realtà non proprio protagonista, ma più co-protagonista. C'è sempre stato qualcuno accanto a lui. Questa è stata la sfortuna di Vialli, quello che non gli permette di essere annoverato tra i calciatori italiani più forti, almeno non istintivamente. Siate sinceri, chi di voi penserebbe di includere, tra i primi dieci giocatori italiani, Vialli? Eppure, credo che analizzando i suoi gol e il suo modo di giocare, e cercando di comprendere quanto Vialli fosse fondamentale, tecnicamente, ma anche psicologicamente, alle sue squadre, molti potrebbero cambiare idea, o perlomeno farsi sorgere dei dubbi.

Quei ricci, pian piano, scompariranno
Quei ricci, pian piano, scompariranno / Alessandro Sabattini/Getty Images

Alla Cremonese, dopo l'esordio in C1 e la promozione in Serie B della squadra, diventa subito titolare, e fa vedere buone cose. La sua ultima stagione, in particolare, lo vede agire come ala destra, che a pensarci a posteriori, sembra davvero il peggior ruolo in assoluto anche per lui, che ha fatto dell'eclettismo una delle sue caratteristiche più particolari: una tecnica non indifferente, combinata con un'atletica impressionante (che gli ha permesso di segnare molti gol in acrobazia), ma anche fiuto del gol da rapace d'area, movimenti grezzi e sporchi, tornate fino a centrocampo per recuperare il pallone. Un giocatore poliedrico, che però non mi sarei mai immaginato come ala.

Vialli però fa molto bene, riuscendo anche a segnare 10 gol, portando la sua squadra alla promozione in A e gli occhi delle grandi su di lui. Le offerte arrivano, ma il presidente della Cremonese, forte del legame tra le due società, chiede ad Agnelli se Vialli potesse servire alla sua Juventus, e se in caso, la sua offerta avrebbe avuto la precedenza. Ma la dirigenza juventina non lo vede pronto, e così la spunta la Sampdoria di Mantovani, che lo sceglie anche sotto consiglio del suo talentino Roberto Mancini, con cui aveva giocato nella Nazionale U-21.

Alla Samp, dopo due stagioni di disguidi tattici in cui Vialli non riesce a incidere, arriva, nell' 1986, Vujadin Boškov, ex-allenatore del Real Madrid e ex-giocatore della Sampdoria, che tutti in Italia ricordano per il suo umorismo lapalissiano e irriverente, ma anche per essere stato l'allenatore che ha fatto esordire un certo Francesco Totti, alla Roma. A dir la verità, c'è anche qualcos'altro per cui viene ricordato: il primo storico scudetto con la Sampdoria e la finale di Coppa dei Campioni sempre con i blucerchiati, con la vittoria sfiorata di un pelo.

Pagliuca, Vialli, Boškov e Mancini
Pagliuca, Vialli, Boškov e Mancini / Alessandro Sabattini/Getty Images

Con Boškov, Vialli viene finalmente spostato nel ruolo che Dio gli ha stampato in fronte fin da piccolo, la prima punta, mentre Mancini scala indietro, fa da rifinitore, e i due si troveranno sempre alla perfezione. L'intesa tra il Mancio e Vialli ha pochi rivali nella storia del calcio italiano, sono pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente: Vialli riflessivo, potente, una punta che vive per segnare, Mancini un trequartista elegante, istintivo che non vede la differenza tra un assist e un gol. I "gemelli del gol" li chiamavano, e per tutte le stagioni a seguire non si fermeranno mai.

È nella stagione 1988/89, dopo tre Coppe Italia, che i blucerchiati si accorgono che possono fare di più, molto di più. Il sogno è lo scudetto, e con una coppia d'attacco così forse non è più un sogno. Lo fu, e non riuscì a consolare la metà di Genova neanche la grande prestazione in Coppa delle Coppe, che si concluse amaramente in finale, contro il Barcellona allenato da Cruijff. Per una squadra che fino a pochi anni prima aveva una bacheca completamente vuota, però, non è certo un cattivo inizio. Vialli contribuisce ai buoni posizionamenti e alla vittoria della Coppa Italia con ben 33 gol tra tutte le competizioni, suo record personale, anche se in una delle poche stagioni giocata evitando infortuni di sorta.

"Punta vera nel senso più moderno del termine. In viaggio continuo, movimento e potenza da destra a sinistra, al centro, un incubo per i difensori. Vedevi gli occhi dei nostri avversari e capivi che Luca li aveva sconfitti prima di entrare in campo. Il più feroce attaccante che ho mai visto. Da preferire anche a Van Basten? Sicuro. Van Basten era molto più statico. Rispetto a Vialli aveva solo il gioco aereo, come qualità superiore. Fossi obbligato a scegliere, terrei sempre Luca."

Vujadin Boškov

Nella stagione seguente, Vialli (con Mancini) trascina nuovamente la sua squadra in finale di Coppa delle Coppe, contro l'Anderlecht, ma questa volta quella coppa se la prendono eccome, con una doppietta proprio di LucaVialli (come dicono i tifosi doriani, tutto unito) nei tempi supplementari. Vialli e la Samp sono riusciti a crescere insieme, e a raggiungere una delle vette più alte della storia del club, e le richieste per la punta cremonese iniziano a bussare alla porta.

Getty Images/Getty Images

Già Milan (più volte), Napoli, persino Real Madrid ci avevano provato, e il presidente Mantovani aveva anche accettato, ma era Vialli stesso a dire di no. Aveva un debito verso quei tifosi, verso quella maglia, aveva permesso a tutti loro di sognare lo scudetto, e allora che scudetto sia. Ma prima, quell'estate, si giocavano i Mondiali, Italia '90, e Vialli era il cardine della squadra, per Vicini tutti giravano attorno a lui. Così non fu. Dopo alcune prestazioni opache, dovute nuovamente a degli equivoci sul ruolo più adatto alle sue caratteristiche, Vialli viene soppiantato dalla coppia Schillaci-Baggio, che riuscirà a convincere e segnare. La cocente delusione del Mondiale credo sia stata però solo ulteriore carbone in quella locomotiva blucerchiata di nome Vialli che avrebbe portato da lì a poco al primo scudetto della Sampdoria.

Vialli ha un fuoco dentro, è un leader, vuole dimostrare che ai Mondiali è stato tagliato fuori ingiustamente. E allora decide di diventare capocannoniere della Serie A con 19 marcature e vincere lo scudetto, guardando dall'alto in basso proprio quella coppia d'attacco che aveva soppiantato i "gemelli del gol" in Azzurro, Baggio e Schillaci, che si era riformata in bianconero. Sia chiaro, lo scudetto non fu certo una passeggiata, anzi, ma con Vialli in campo sembrava lo fosse. Sempre sicuro di sé, quasi al limite del narcisismo atletico, diffondeva questa fiducia a tutti i compagni, in particolare a Mancini, che tra i due era quello con i numeri più impressionanti, ma anche più discontinuo.

Vialli è ufficialmente entrato nel miglior momento della sua carriera, e anche l'anno dopo si riconfermerà come uno dei migliori attaccanti della sua generazione, riuscendo persino a trascinare la Samp nel punto più alto della sua storia: la finale di Coppa dei Campioni. Durante la partita, Vialli si mangerà palle gol nitide e che uno come lui aveva dimostrato di non saper sbagliare. Ma le sbagliò, tutte, e un gol di Koeman regala la coppa al Barcellona, lo stesso che li aveva sconfitti in Coppa delle Coppe tre anni prima. Una coincidenza, guarda un po'. Una di quelle brutte.

Per Vialli quella è stata l'ultima partita con la "maglia più bella del mondo". Lacrime, tristezza, purtroppo non riesce a donare l'ultima gioia, la più grande, ai suoi tifosi, se ne va con un volto che immagino depresso e inconsolabile, con un filo di rabbia verso sé stessi. Ma ormai aveva già accettato l'offerta della Juventus, e parte per Torino.

Clive Brunskill/Getty Images

I primi due anni alla Juventus sono un inferno: Trapattoni, consigliato da non si sa quale demonio, lo prova più volte centrocampista e a questo si aggiungono vari infortuni che lo fanno entrare in campo solo in dieci partite di campionato nella seconda stagione. Vialli pensa di aver sbagliato, che forse lui non merita una grande squadra, magari non era ancora pronto. Sacchi neanche lo convoca per i Mondiali del '94. Vuole tornare alla Samp. Le cose però cambiano con l'arrivo di Marcello Lippi in panchina, che gli vieta categoricamente di andarsene.

La cura Lippi funziona e nei due anni successivi Vialli tornerà ad essere quell'attaccante potente, che segna in qualunque modo che aveva interpretato alla perfezione sul teatro del Ferraris. Diventa leader tecnico e carismatico della squadra, vince il suo secondo scudetto e segna 17 gol in campionato, vincendo anche Coppa Italia e perdendo la Coppa UEFA solo in finale contro il Parma. La sua rigenerazione, oltre all'allenatore, è dovuta anche agli infortuni continui e conseguente assenza del capitano juventino, Roberto Baggio, che gli permette di assumere il vessillo da comandante della squadra e ritrovare la fiducia in sé stesso tanto caratteristica del suo gioco (e dei suoi gol).

L'anno dopo, con la definitiva partenza di Baggio verso Milano, la Juventus di Vialli arriva seconda in campionato, ma riesce finalmente ad alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie, da capitano. Il tridente Del Piero-Vialli-Ravanelli vince in finale contro i campioni uscenti dell'Ajax, segnando però, come nell'ultima finale di Champions giocata da Vialli, l'ultima partita giocata con la sua squadra. Ruud Gullit, allenatore-giocatore di un Chelsea ambizioso e ibrido italiano, lo vuole con sé.

Vialli solleva la "coppa dalle grandi orecchie"
Vialli solleva la "coppa dalle grandi orecchie" / Alessandro Sabattini/Getty Images

Svincolatosi dalla Juve, arriva a Wembley agli ordini (e al fianco) di Gullit, con cui però i rapporti si deteriorano in fretta; se nella prima stagione i Blues riescono a sollevare la prima coppa dopo decenni, anche grazie ai gol dell'ex-Juve, in quella seguente l'avventura del tecnico olandese si conclude prematuramente a febbraio del 1998. L'allenatore che lo sostituirà, per quanto ho imparato ascoltando Vialli e imparando a conoscerlo, anche tramite i suoi compagni di squadra, è stato senza alcun dubbio uno dei suoi preferiti: Vialli.

A quanto pare al Chelsea divertiva avere in panchina quella strana chimera che è il giocatore-allenatore, e Vialli non delude, riuscendo a portare alla vittoria della Coppa di Lega e della Coppa delle Coppe, riuscendo (o meglio, decidendo di farlo) ad entrare ogni tanto e segnare anche qualche rete. L'anno dopo vincerà una Supercoppa UEFA contro i favoritissimi del Real Madrid, e in campionato sfiorerà l'impresa, arrivando terzo a soli 4 punti dal Manchester United del triplete, perdendo soltanto tre partite, soffrendo purtroppo, usando una parola tanto cara ai giornalisti italiani, di pareggite.
Sarà la sua ultima stagione da giocatore, e nel suo prosieguo come allenatore del Chelsea riuscirà a vincere una FA Cup e una Supercoppa d'Inghilterra, per poi venire esonerato l'anno successivo ancora.

Cosa è stato Vialli per la nostra Serie A? Di certo il fatto di giocare nella golden age del campionato italiano non ha permesso a Vialli di imporsi come campione assoluto, in parte per quella sorta di aura "da provinciale" che gli ruotava attorno, in parte perché a volte sovrastato da tanti altri campioni assoluti, non ultimo il suo compagno di squadra Baggio. Potenza e precisione, controllo e acrobazia, di attaccanti completi come lui se ne sono visti pochi, e nonostante la sfortuna, è riuscito comunque a guadagnarsi un grosso pezzo nel cuore dei tifosi, doriani con il primo e unico scudetto, e juventini con la vittoria della Champions.

LucaVialli Alè alè, noi ti amiamo e ti adoriamo, tu sei meglio di Pelé!


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