Germania 2-1 Repubblica Ceca: la storia del Golden Goal di Euro '96
Scritto da Guido Müller, autore di 90min.de
Qualche settimana fa, il figlio di sei anni di un mio caro amico mi guardava come se avessi appena stravolto la sua visione del mondo, frutto di una vita comunque ancora breve. Poco prima, stava allegramente correndo in giardino, inseguendo una palla da calcio e controllandola solo con il piede destro. Suo padre gli aveva detto di usare entrambi i piedi "altrimenti non sarebbe mai diventato un calciatore professionista". Consiglio ignorato.
Poi, un po' senza fiato, il ragazzo si era messo di fronte a me e timidamente mi aveva detto se poteva chiedermi qualcosa di cui si imbarazzava.
"Si certo!" Ho detto. "Dimmi!"
"Pensi che potremo diventare campioni d'Europa?"
E mentre pronunciava quelle parole, una punta di incertezza aleggiava sul suo viso infantile. Come se avesse la sensazione di aver appena fatto una domanda fuori luogo, una di quelle talmente ovvie di cui si sa già la risposta. Come se mi avesse chiesto se poteva spalmarsi del miele sui capelli o altre cose ridicole.
"Certo che possiamo", ho risposto. Ma la fossetta scettica appena sopra la base del naso (come quella di suo padre, pensai) mi aveva fatto intendere che non mi credeva.
Ricordi dell'estate del 1996
E poi ho iniziato a parlare. Del mio viaggio verso un futuro incerto, ma che non vedevo l'ora di raggiungere, del mio arrivo in un paese diverso rispetto a quello in cui ero nato. E di un torneo in cui la Germania non era considerata nemmeno una delle squadre favorite
Quando il 10 giugno del 1996 allo stadio di Wembley è iniziato il decimo Campionato Europeo, vivevo a Madrid solo da quattro mesi.
A causa dell'amore che provavo per una spagnola, avevo deciso di compiere questo passo importante ad appena 23 anni. Non me ne sono mai pentito per i 21 anni successivi. Anche se, nonostante il sacro vincolo del matrimonio, la relazione si è sciolta. Ma questa storia la racconterò un'altra volta.
Con saggia lungimiranza, avevo organizzato la prima parte della mia vacanza annuale in modo che potessi guardare quante più partite possibili dell'Europeo. Seguire per la prima volta un torneo internazionale interamente da un Paese straniero, è stata senz'altro un'esperienza drammatica. Oltre al fatto che il nuovo habitat mi aveva provocato uno spostamento dell'attenzione.
Certo, in Spagna la gente parlava della 'Selección', della 'Furia Roja', delle favorite per la vittoria finale. L'Olanda, la Francia e l'Inghilterra (in quanto paese ospitante) venivano menzionate. Perfino la Croazia aveva attirato molte simpatie per via dei diversi giocatori che militavano nella Liga: Robert Jarni al Real Betis, Robert Prosinecky al Barcellona, Davor Suker al Siviglia.
Gli spagnoli - fan e media allo stesso modo - non credevano che il loro paese fosse tra i favoriti. La loro nazionale li aveva delusi spesso, subendo incredibili colpi di scena.
Come accadde nei quarti di finale di USA '94, quando Mauro Tassotti assestò una gomitata a Luis Enrique.
Le immagini del volto insanguinato dell'attuale CT della Spagna sono rimaste impresse nella memoria collettiva degli spagnoli, calzando perfettamente all'idea di un'eterna via Crucis calcistica alla quale il calcio della Penisola Iberica (o almeno la sua Nazionale) sembrava essere condannato
Quindi per me Euro '96 si è svolto principalmente tra il soggiorno (praticamente l'intero appartamento) e la casa dei genitori della mia compagna.
Ma dai quarti di finale, dopo che la Spagna era stata eliminata dall'Inghilterra ai rigori, l'aria era sensibilmente cambiata in un paese che va matto per il calcio. Solo i fan più imperterriti del paese continuarono a seguire lo svolgimento del torneo.
Il mio futuro suocero, tuttavia, non voleva avere più niente a che fare con Euro '96 dopo che il rigore di Fernando Hierro si era infranto sulla traversa e il tiro di Miguel Nadal venne neutralizzato da David Seaman. E così, dopo un consulto con la famiglia, decisi di guardare le fasi finali tra le mie quattro mura, dove vidi la Germania riuscire dove la Spagna aveva fallito: eliminare l'Inghilterra ai rigori.
Il mio amico, che non segue molto il calcio, fece una bella espressione davanti a questa brutta storia.
Quindi, il 30 giugno 1996, mi trovavo a migliaia di chilometri di distanza dalla tensione febbrile e dall'atmosfera passionale della mia Amburgo, dove mi sarei trovato circondato da molti compagni di sventure.
E mentre i cechi e i tedeschi, che si erano già incrociati all'inizio del torneo durante la fase a gironi, si contendevano la corona di campione del continente, mi sono ricordato della finale di quattro anni prima.
Ho seguito la prima parte di Euro '92 ad Amburgo, un'altra con due amici durante un viaggio interrail in giro per l'Europa e l'ultima nella casa delle vacanze dei miei genitori sulla Costa del Sol.
Ho visto la finale, dove perdemmo 2-0 contro la sorprendente Danimarca, con una mezza dozzina di andalusi, felicissimi che i danesi avessero sconfitto i tedeschi.
La chiamata sbagliata di Pierluigi Pairetto
Quattro anni dopo, i cechi avevano segnato su un rigore inesistente dopo che Matthias Sammer aveva atterrato Karel Poborsky fuori area. Pairetto pensava fosse dentro e io mi sentivo teletrasportato indietro nel tempo.
La Coppa del Mondo del 1990 sarebbe stato l'unico titolo che avrei festeggiato in vita mia? Mezz'ora prima del fischio finale a Wembley, l'ho sicuramente pensato.
A un certo punto, durante il collegamento da Londra, il reporter spagnolo stava parlando della nuova regola del Golden Goal.
E mentre spiegavo al mio miglior amico di cosa si trattasse, ho visto con la coda dell'occhio che un certo Oliver Bierhoff era stato messo in campo al posto di Mehmet Scholl.
Come la maggior parte dei tifosi tedeschi davanti ai teleschermi, non ci potevo credere. 'Perché lo stai mettendo proprio ora?'.
Dopo tutto, Scholl sembrava molto ispirato quel giorno. Il commentatore spagnolo aveva parlato addirittura di un errore da parte di Berti Vogts. Quasi nessuno in Spagna sapeva chi fosse Bierhoff.
Ma prima di aver finito di soppesare tutti i pro e i contro di quell'insolita sostituzione, la Germania si era guadagnata un calcio di punizione sulla destra.
Christian Ziege ha colpito la palla col sinistro indirizzandola verso la rete. Ha continuato ad andare, ad andare e poi è finalmente atterrata sulla testa - ovviamente - di Bierhoff.
Abbiamo avuto più tempo per completare una rimonta che, vista la situazione di 20 minuti prima, sembrava un'utopia per qualsiasi fan tedesco.
"Cos'è il Golden Goal?"
E adesso il Golden Goal era tornato a essere interessante. Il mio amico non aveva ancora capito cosa fosse.
"Quindi si va ai tempi supplementari...e se qualcuno segna?
"La partita è finita!"
"E se non segna nessuno?"
"Si va ai rigori!"
Stavo per fornirgli qualche esempio proveniente da altri sport, ma ho subito realizzato che gli spagnoli capiscono di hockey su ghiaccio quanto i tedeschi si intendono di corse di cammelli nel deserto.
Ma non importava, perché tutto si sarebbe spiegato da solo.
Perché dopo appena 5 minuti dalla ripresa, a Bierhoff arriva il pallone al limite dell'area di rigore della Repubblica Ceca.
In qualche modo riesce a divincolarsi dalla marcatura di Karel Rada, reo di essere stato troppo passivo, e si procura lo spazio per calciare in porta.
Il tiro di Bierhoff parte con poca potenza e poca precisione. Sapevo che Petr Kouba l'avrebbe bloccata, quindi il mio cervello ha smesso di interessarsi all'azione.
Ma all'improvviso la palla sfugge dalla mano di Kouba e scivola lentamente verso la rete. Il portiere tenta uno scatto felino verso la linea, ma era troppo tardi.
Oggi non so cosa sia arrivato prima. Se l'urlo del giornalista che annunciava che la finale era stata appena decisa un un 'gol d'oro', o la mia gioia nel vedere una Germania decimata dagli infortuni vincere la finale.
Almeno non dovrò mai spiegare cos'è un Golden Goal.
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