Francesco Acerbi si sfoga e racconta le sue sensazioni dopo l'assoluzione

Francesco Acerbi
Francesco Acerbi / Pier Marco Tacca/GettyImages
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Assolto dal Giudice Sportivo, Francesco Acerbi può pensare al calcio giocato e alla preparazione del match della sua Inter contro l'Empoli. L'ex difensore della Lazio ha rischiato fino alle dieci giornate di squalifica dopo le accuse di razzismo di Juan Jesus nei suoi confronti. Un sospiro di sollievo per il calciatore, che - in caso di squalifica - avrebbe saltato con tutta probabilità anche Euro 2024. Conclusa definitivamente questa vicenda, Acerbi si è concesso ad una intervista ai microfoni del Corriere della Sera.

"Sono triste e dispiaciuto. È una vicenda in cui abbiamo perso tutto. Quando sono stato assolto ho visto le persone attorno a me reagire come se fossi uscito dopo dieci anni di galera, molto contente di essere venute fuori da una situazione del genere. Sono state giornate pesanti. Parlo solo adesso perché avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare un polverone che era già enorme. Adesso c'è la sentenza e vorrei dire la mia, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi è il contrario perché sono molto dispiaciuto per lui. Ma non si può dare del razzista a una persina per una parola malintesa nella concitazione del gioco. Non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto".

"È stata una sentenza liberatoria ma sono comunque triste per tutta la situazione che si è creata, per come era finita in campo e per come ci hanno marciato tutti senza sapere nulla. Ho percepito accanimento anche dopo la sentenza. Questa non è lotta al razzismo, non c'è stato nessun razzismo in campo e non sono razzista. Il mio idolo era George Weah e quando mi fut trovato il tumore ricevetti una telefonata a sorpresa da lui che ancora mi emoziona. Si sta umiliano una persona per una cosa finita in campo. Il razzismo è una cosa seria, non un presunto insulto. Se l'arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente in campo dovrebbe correre con lo zaino. Finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani e alle madri".

"La gestione della malattia è stata una passeggiata in confronto a questa vicenda. Mi ha ferito l'accanimento atroce nei miei confronti. Ho fatto tanto per diventare un esempio di costanza e professionalità, rischiando di perdere tutto in un attimo. In precedenza avevo l'etichetta di persona un po' ruspante. In caso di squalifica poteva succedere qualsiasi cosa: sarei stato finito come calciatore e come uomo, soprattutto. Per tanti sono ancora razzista e sinceramente non ci sto. Da oggi metto un punto alla vicenda".

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