La flop 5 dei calciatori della 31ª giornata di Serie A
Tradite dai propri attaccanti, Milan e Juventus ottengono risultati opposti nella dodicesima di ritorno a seguito di episodi opposti. Due deviazioni fortuite fanno sorridere Pioli e disperare Pirlo, che si preparano a finali di campionato ben diversi: rossoneri con un piede e mezzo in Champions nonostante un calendario proibitivo, campioni d'Italia uscenti che sembrano destinati a soffrire fino alla fine per centrare un posto tra le prime quattro. Obiettivo magari già "fuori moda" dopo la nascita della Superlega, ma comunque è sempre meglio non rischiare visto il quadro in evoluzione del calcio europeo. Di sicuro, nella domenica della contemporanea assenza di Zlatan Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo, l'imprescindibilità di entrambi a livello tecnico e di personalità è risultata ancora più evidente...
1. Rafael Leao (Milan)
Fa più il redivivo Mandzukic in meno di mezzora che il portoghese in un’ora. Il ritorno in Champions si avvicina per i rossoneri, ma il rendimento dell’ex Lilla continua a essere una nota negativa. Sempre troppo molle, a tratti indolente, praticamente mai un fattore né nella profondità né nel giocare con e per i compagni dell’attacco. Ok, non è una prima punta di ruolo e si vede, ma senza Ibrahimovic Pioli non ha alternative e quantomeno si aspettava che il ragazzo giocasse con più cattiveria.
2. Daniele Rugani (Cagliari)
Tutto è bene quel che finisce bene grazie a quella rimonta che resterà nella storia del club sebbene la vittoria del Torino continui a rendere problematica la missione-salvezza, ma dopo le prime prestazioni confortanti appena arrivato in Sardegna l’ex juventino sta iniziando a deludere, pessima idea in un reparto dove già le amnesie, leggi Klavan, erano frequenti. Contro il Parma sbaglia praticamente tutto lo sbagliabile, avendo responsabilità evidenti sul secondo e sul terzo gol. Errori ingenui, disattenzioni che non ci si aspetta da un giocatore così esperto, inevitabilmente sostituito per far spazio agli attaccanti nel finale per cercare la rimonta che poi riesce.
3. Alvaro Morata (Juventus)
Più di qualcosa si è rotto a livello psicologico rispetto all’inizio di stagione, quando in Italia e in Europa volava sulle ali dell’entusiasmo. Il fatto di avere su di sé l’intero peso dell’attacco vista l’assenza di Ronaldo e la condizione di Dybala non lo aiuta, ma è davvero troppo molle quel tocco a porta vuota con cui nel primo tempo cambia il senso della partita in negativo per i suoi. Non riesce quasi mai ad avere la meglio su Palomino: il primo, vero tiro in porta arriva al 75’…
4. German Pezzella (Fiorentina)
Il simbolo di una squadra sempre più fragile a livello mentale. Contro il Milan era andato presto in tilt trascinando i compagni, a Reggio Emilia riesce a fare peggio buttando via insieme alla squadra un primo tempo quasi perfetto. Il solo ingresso in campo di Berardi manda in tilt un intero reparto e il capitano è il primo ad affondare, invece che dare tranquillità al reparto. Provoca il secondo rigore e non riesce a dirigere una squadra che perde ogni riferimento con troppa facilità. Forse distratto dal contratto in scadenza, sicuramente depresso da un’altra annata disastrosa.
5. Victor Osimhen (Napoli)
Dopo la bella prova contro la Sampdoria arriva il passo indietro contro la capolista. Il confronto diretto con Lukaku marca la differenza tra i due: uno sempre utile alla squadra e pericoloso appena ne ha la possibilità, l’altro neutralizzato dal fatto di non poter correre in profondità e molto deludente nel lavoro per la squadra, anche sul piano tecnico. La giovane età è dalla sua parte e la crescita passa anche da partite del genere, ma il percorso per giustificare la spesa per il suo cartellino è ancora lungo.
6. Allenatore: Paulo Fonseca (Roma)
Lavorare in un contesto del genere è difficile, l’attenuante gli va concessa. Con la piazza contro e lo spogliatoio quantomeno non compatto dalla sua parte, il tecnico portoghese prova a tenere in piedi un campionato disastroso sulle ali dell’entusiasmo della marcia per il momento felice, seppur sofferta, in Europa. A Torino, però, contro una squadra viva e ormai specializzata in rimonte dopo averne subite tante nella prima parte del campionato, non convince la gestione tattica della partita più che quella tecnica legata a un turnover quasi necessario. Le energie sono quelle che sono, ma una squadra in vantaggio dopo tre minuti avrebbe dovuto avere un’altra tenuta sul piano difensivo e più cinismo nella gestione di qualche contropiede.