ESCLUSIVA | Pellissier: "Indimenticabile la tripletta a Buffon. Il mio calcio era diverso. Mi piace l'Atalanta"
Esclusiva - Una vita per il gol, quella di Sergio Pellissier. 165 in carriera, di cui 112 in Serie A, tutti con la maglia del Chievo Verona. "Si scrive Sergio... si legge Chievo... Grazie Capitano" . Lo ha ringraziato così, il Bentegodi nel giorno del suo addio, dopo 17 anni con la stessa maglia. Simbolo e bandiera di una delle favole più belle del nostro calcio, quel calcio che forse oggi per tanti motivi non esiste più. Partito da Aosta con un sogno diventato realtà a suon di sacrifici e gol. "Fare gol è la cosa più bella del mondo, ed è l'unica cosa che mi manca realmente del calcio", mi ha raccontato in una lunga chiacchierata in cui abbiamo ripercorso la sua carriera costellata da una tripletta a Buffon e dall'orgoglio di aver indossato la maglia Azzurra. Una sola presenza, onorata con una rete...tanto per cambiare. In campo fino a 40 anni, prima di lasciare un calcio completamente diverso da quello di cui si era innamorato da bambino e che oggi riconosce con molta fatica:
Qual era il segreto del Chievo?
"Diciamo che il Chievo era fatto prima di tutto di uomini e poi di giocatori. Era un gruppo di professionisti che tenevano moltissimo a quello che facevano. Ci tenevamo a non far brutta figura e volevamo onorare la maglia. Eravamo una famiglia in cui si stava talmente bene e quando ti senti a casa, riesci a dar di più di quello che magari daresti in un altro contesto. La forza del Chievo è stata quindi quella di avere sia giocatori che non erano conosciuti, sia calciatori che avevano bisogno di rilanciarsi. Tutti avevano la possibilità di essere protagonisti".
Perché una favola come quella di cui tu sei stato il principale protagonista sembra sempre più difficile da ripetere nel calcio di oggi?
"Il problema principale di oggi è che il divario tra Serie A e Serie B è enorme sia a livello qualitativo che a livello economico. Il calcio in Italia è cambiato tantissimo. C’è un abisso tra A e B e passare dalla B alla C significa fallire, perché la C si mantiene grazie alle altre società che pagano gli ingaggi dei propri giocatori in prestito. Ci sono incentivi della lega per far giocare i calciatori giovani, quindi è normale che in Serie C poi non ci sia una qualità così elevata, perché non è detto che tutti i giocatori giovani siano bravi e soprattutto credo che un giovane per crescere in maniera corretta debba confrontarsi con calciatori più esperti. Se un giovane è bravo, giocherà lo stesso, non ha importanza. È sempre stato così. La selezione naturale e la lotta tra i giocatori più esperti e i più giovani ci deve essere e poi giocherà chi merita. Non è detto che debba essere per forza il giovane. È un percorso che aiuta il processo di crescita. Vorrà dire che arriverà in Serie A più tardi come ho fatto io, che ci sono arrivato a 23 anni e ci sono rimasto fino a che ne avevo 40. Quando io ho esordito in Serie C negli anni '90, in squadra avevo giocatori esperti con diversi campionati di A e di B alle spalle che mi hanno permesso di imparare e crescere sia in campo, che a livello caratteriale. Io non mi sarei mai permesso di dire nulla, perché per me erano calciatori importanti. Adesso la Serie C è come se fosse un altro campionato Primavera. Sono cambiati i tempi, e non è semplice mantenere una società di calcio a questi livelli. Credo che nel calcio di oggi non ci sia più la serenità di una volta. Adesso anche facendo il Direttore Sportivo ho visto giocatori che preferivano rimanere in Serie A o in Serie B, senza mai giocare ed essere protagonisti neanche in amichevole, pur di non andare in Serie C. Questo è veramente brutto perché il bello della nostra professione, come stanno dimostrando Ibrahimovic e Buffon che continuano a giocare perché a noi piaceva giocare a calcio, perché noi ci tenevamo e perché noi volevamo giocare. Non importava la categoria, non importava l’età, contava solo giocare. E la dimostrazione è che la maggior parte delle volte, se non giocavi in prima squadra, accettavi di andare in una categoria inferiore.".
"Non lo so se le carriere dei giovani d’oggi saranno così lunghe, perché adesso la qualità dei calciatori è diversa. Una volta lottavi per conquistarti il posto e una volta che ci eri riuscito cercavi in tutti i modi di tenertelo stretto."
- Sergio Pellissier
Quali sono state le sensazioni che a un certo punto della tua carriera ti hanno portato a decidere di smettere?
"Ho scelto di smettere perché mi sembrava giusto smettere in quel momento. Ho sempre pensato che avrei deciso io quando smettere e non quando qualcuno mi voleva far smettere a tutti i costi e per fortuna ci sono riuscito. È stata una questione di scelte. Il Chievo era arrivato ad un’altra retrocessione ed era un periodo di cambiamenti. Ero convinto che quella fosse la fine di un ciclo e si dovesse iniziare un nuovo percorso. Non mi sentivo di iniziarlo di nuovo da calciatore. L’avrei voluto iniziare da dirigente, direttore sportivo come ho fatto. Poi il calcio e il mondo del lavoro ti danno e ti tolgono, ma questo fa parte del gioco e quindi ho preso altre strade".
5 aprile 2009, tripletta alla Juventus. Cosa hai provato nell’istante in cui hai battuto Buffon per la terza volta?
"Non mi sembrava vero. Sinceramente al terzo gol non mi ricordavo di aver fatto gli altri 2. La cosa più bella era che ero riuscito a far pareggiare la mia squadra al 92’ e voleva dire quasi sicuramente riuscire a portare a casa un punto da Torino e non ci eravamo mai riusciti, quindi era una sensazione fantastica. Poi quando è finita mi sono reso conto che era riuscito a fare una tripletta. Sono sensazioni bellissime, sono emozioni perché poi ti alleni e sogni da piccolo quello e riuscirci, riuscire poi a far gol ad uno dei portieri più forti del mondo che non credo sia qualcosa che è accaduto così spesso è stato davvero bello. Un giorno indimenticabile per me".
"Sinceramente al terzo gol non mi ricordavo di aver fatto gli altri due. La cosa più bella era che ero riuscito a far pareggiare la mia squadra al 92'"
- Sergio Pellissier
Tra i tanti compagni di squadra avuti al Chievo c'è stato anche Vincenzo Italiano. Avevi già la percezione che sarebbe diventato un allenatore?
"Diciamo che quasi tutti i centrocampisti in quegli anni e anche prima erano predisposti per essere allenatori, perché comunque la loro posizione in campo li portava a dettare il gioco e a spiegare cosa volessero. Si discuteva molto, perché ognuno aveva la sua idea e quando in gruppo c’erano 2 o 3 elementi del genere poteva diventare un problema (ride, n.d.r.) Sì, direi che si capiva. Oltre a lui c’era anche Marcolini e tutti e 2 poi sono diventati allenatori. Sicuramente se avessi dovuto pensare a un ruolo per loro, avrei detto che sarebbero diventati allenatori".
Il 2009 è stato anche l’anno dell’esordio con gol in Nazionale e in quegli anni non era poi così facile arrivarci. Cosa ha significato per te la maglia Azzurra?
"A me fa piacere che tu lo abbia capito, perché ci sono pochissime persone che lo capiscono. Adesso basta fare 2 o 3 presenze in prima squadra e subito dicono è da Nazionale. È giovane e bisogna portarlo in Nazionale. Non credo sia così. Per me la Nazionale è dei più forti. I campioni vanno in Nazionale. Non è detto che il campione stia facendo bene, ma sicuramente è quello che merita di andare in Nazionale. Per i giovani ci sarà tempo. Perché devo portare per forza uno di 18 anni. Una volta che fa mezza stagione bene e ottiene la nazionale non gli rimangono più ambizioni e poi la maggior parte scompaiono. Questa è la differenza tra i giovani d’oggi e quelli di una volta. Noi per giocare, ci siamo dovuti conquistare il posto. Per me la Nazionale ha rappresentato l’emblema del top. Se ci arrivavi, significa che eri il più forte d’Italia. Io non mi reputavo il più forte in Italia, però avevo fatto bene andando in doppia cifra per anni, con più di 40 gol ed ero il capitano di una squadra. Non ero l’ultimo arrivato. L’esserci arrivato per me è stato un sogno. Sapevo benissimo che sarebbe stata probabilmente l’unica volta e ho ringraziato Lippi perché credevo fosse giusto farlo e che mi avesse voluto premiare per la mia carriera. È come se adesso Ronaldo non stesse facendo bene e decidessero di chiamare un altro. No, io porto Ronaldo, perché il più forte è Ronaldo. Poi quando lui non vorrà più andare, allora è giusto che vada il giovane o quello che è subito dietro di lui. La Nazionale è la Nazionale".
Rivedendo i tuoi gol a colpire è la vastità del repertorio. Ce n'è uno a cui sei particolarmente affezionato?
"Se devo essere sincero no. Mi sono piaciuti tutti. È vero, ho segnato in tanti modi diversi però quello che contava per me era fare gol. Far gol era la sensazione più bella del mondo e io giocavo per quello, era il modo di scaricare tutta la tensione. Le mie esultanze non erano mai costruite, io esultavo per sfogarmi e perché ero riuscito a centrare il mio obiettivo ed era bellissimo. Poi ovviamente, se fai 3 gol a Torino contro la Juve sei un idolo, fai gol di tacco a Marassi ed è fantastico. Ho fatto gol alla Lazio. Feci un gol contro la Roma che passò in sordina e se lo avesse fatto Totti sarebbe venuto giù il mondo. Però ripeto far gol è la cosa più bella del mondo ed è l’unica cosa che mi manca realmente del calcio. Tutto il resto è in secondo piano. Non mi mancano gli allenamenti. Le partite sì e no, anche se vedendo i giocatori di adesso penso che forse avrei potuto giocare fino a 47 anni. Il calcio è veramente cambiato completamente, adesso alle volte si fa gol e neanche si esulta e faccio fatica a capire il perché"
Nel corso degli anni ci sono state numerose voci su interessamenti delle big nei tuoi confronti. Qual è stata la squadra che ti ha cercato con più insistenza?
"Mi hanno cercato più di una volta. Pochissime squadre sono venute da me direttamente. Sono passati quasi tutti dal Chievo e io l’ho scoperto solo successivamente. Le situazioni più concrete sono state 2: il Parma, dopo la prima retrocessione con il Chievo si fece sotto con Leonardi che mi voleva, però la società non mi lasciò andare e io sono ripartito dalla Serie B con il Chievo, diventandone il capitano. Poi nell’estate del 2009, dopo che avevo disputato una grande stagione ci fu un serio interessamento del Napoli, che arrivò ad offrirmi un contratto, dopo aver fatto un’offerta importantissima al Chievo che anche in quel caso rifiutò. Io rispettai la scelta della società senza discutere e fare guerre".
Qual è stato il difensore che ti ha dato più problemi?
"Difficile nominarne uno solo, perché credo di aver giocato contro i difensori più forti del mondo. Il calcio italiano negli anni '90 e 2000 era sicuramente il più importante del mondo, quindi c’erano tantissimi difensori forti tra italiani e stranieri. Ferrara, Cannavaro, Thuram, Nesta, Maldini, Zanetti, Materazzi Costacurta, Thiago Silva e Chiellini che ancora gioca erano tutti incredibili e contro di loro era sempre difficile. All’inizio non ti conoscevano ed era più facile sorprenderli, soprattutto per me che avevo nella forza e nella velocità le mie caratteristiche migliori. Poi man mano che si andava avanti con gli anni e sapevano chi fossi e quali erano le mie caratteristiche diventava sempre più complicato, perché stiamo parlando di calciatori che oltre che bravi, erano molto intelligenti a livello calcistico. Adesso è cambiato il modo di difendere. Non so se gli attaccanti di oggi riuscirebbero a fare tutti i gol che fanno contro questi difensori, perché sapevano leggere le situazioni di gioco alla perfezione. Oggi magari i difensori si sentono più sicuri delle loro qualità, però poi è più facile che sbaglino un anticipo o commettano degli errori. Anche oggi ci sono difensori bravissimi, però una volta era molto più complicato".
Il giocatore che ti ha sorpreso di più invece?
"Ho visto giocatori incredibili. Il primo Ronaldo era un vero fenomeno, un giocatore straordinario. Beckham, Ibrahimovic sia agli inizi che dopo. Poi, Totti, Del Piero, Zidane, Seedorf e anche Boban. Stiamo parlando di leggende di questo sport. Calciatori talmente forti che per le società era impossibile lasciarli andare. Adesso è più difficile poter fare un discorso del genere, perché un calciatore oggi c’è e magari domani è già andato via".
C’è un attaccante in cui rivedi la tua caparbietà e la tua voglia?
"Diciamo che le caratteristiche degli attaccanti di oggi sono diverse dalle mie. Forse mi rivedo in Immobile, che ama giocare sul filo del fuorigioco e a cui piace attaccare la profondità. Certo lui è molto più prolifico di me e questa è una caratteristica fondamentale per qualsiasi attaccante. Adesso o vediamo prime punte fisiche o squadre che non hanno neanche un attaccante e prediligono il falso nueve. Io sono uno vecchio stampo. A me piace il 4-4-2 con 2 punte o il 4-3-3 con 3 punte. A me piacciono i moduli con gli attaccanti in campo, perché chi fa gol devono essere gli attaccanti".
Quali sono i giovani che ti piacciono?
"Mi piace Kulusevski, mi piace Vignato che è stato con me al Chievo e ora è al Bologna. Deve crescere tanto, ma ha un tocco di palla straordinario e vede il gioco prima degli altri. Non credo che anche se si ha talento si debba giocare subito, altrimenti si rischiano di bruciare i giovani. Vanno fatti crescere e gli va data la possibilità di sbagliare senza pressione. Poi c'è Zaniolo che ha tanta qualità, però se un giovane ha subito tutte queste pressioni e tutte queste attenzioni, rischia di non avere più ambizioni ancor prima di iniziare e questo può essere un problema. Balotelli ne è stato l’esempio. Grandissime qualità, ma le troppe pressioni non gli hanno permesso di fare bene come avrebbe potuto. O si fa una grandissima carriera come Totti, oppure si finisce per pagare tutte le troppe attenzioni".
Ti manca il calcio?
"A me manca il mio calcio, non questo moderno in cui si parte dal portiere, si deve passare per i difensori e in porta non si arriva mai. Così non mi diverto. Mi piace l’Atalanta perché arriva in porta con 3 passaggi. Quello è calcio, perché io voglio fare gol. Non mi interessa il possesso palla, perché non serve. E adesso si vede sempre meno. Per me che ero un attaccante, le occasioni erano tutto, giocare per non fare neanche un tiro a partita non ha senso".
Cosa ti piacerebbe fare in futuro?
"Mi piace il ruolo del direttore sportivo, infatti ho studiato per quello e ed è quello che mi piacerebbe continuare a fare in futuro. Anche in quell’ambito i tempi sono cambiati. Vediamo sempre più Direttori Generali operare nell’area sportiva comparendo davanti alle telecamere e presidenti che vogliono decidere in ambito tecnico. Così la figura del direttore sportivo perde la sua forza: per me deve essere il direttore sportivo a decidere se un giocatore vale o meno e se prenderlo o meno. Indubbiamente bisogna essere bravi, crescere e imparare. Io ho avuto la fortuna di avere un direttore sportivo bravissimo come Sartori quando giocavo, però quando ho iniziato a muovere i primi passi dopo aver smesso non ho trovato nessuno che mi insegnasse. Ho imparato più cosa non andava fatto e anche quello è un insegnamento importante. Mi auguro di continuare nel calcio. Se non dovesse essere così andrò comunque a vedere le partite, perché mi piace poter giudicare se un giocatore è valido oppure no e scommettere su quali giocatori potranno fare bene in futuro".
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