L'emozionante ritorno dei tifosi allo stadio per la finale di Coppa Italia
La normalità sta tornando. I vaccini stanno contribuendo a creare quell’immunità necessaria per vivere nuovamente come prima della pandemia. Un tempo che sembra così lontano, quasi mai esserci stato se non nei nostri ricordi e nelle nostre foto. Lo sport – e anche il calcio - è stato uno degli ambiti più colpiti, soprattutto perché gli stadi, i palazzetti, gli impianti sono stati chiusi ai tifosi. La linfa vitale di qualsiasi partita o gara, loro che sono lì a sostenere la loro squadra o il loro giocatore preferito e che non potevano più farlo. Per chi giocavano gli sportivi? Per chi esultavano? Chi gli avrebbe fatti rialzare nei momenti difficili e trascinati in quelli facili? Perché il sapore è diverso quando si festeggia di fronte ai propri sostenitori.
Solo il silenzio si sentiva all’interno degli stadi della Serie A. Un silenzio che faceva male. Niente più canti, grida, esultanze dei calciatori insieme a loro. Non c’era quell’emozione di entrare dentro la propria casa e di vederla piena di sostenitori che già cantavano a squarciagola. Solo posti vuoti, tristi, anonimi e freddi. Almeno fino a ieri.
La finale di Coppa Italia ha rappresentato il segnale che l’Italia è pronta per voltare pagina, per riaccogliere i suoi tifosi allo stadio. 4.300 spettatori hanno potuto assistere alla partita, incitare la propria squadra, portare striscioni e cantare. E se le mascherine frenavano la voce, loro hanno cantato ancora più forte, a costo di perderla, per farsi sentire. Perché la gioia di tornare era troppa, perché i mesi di assenza sono stati lunghissimi: era dall’ottobre del 2020 che i tifosi non potevano più andare allo stadio. Il numero poi rispetta i parametri del Comitato tecnico scientifico: il 20% della capienza. E non importa se la procedura per entrare al Mapei Stadium era complicata, tra app da scaricare, tamponi da fare nei centri convenzionati con l’app, documenti da portare, vaccini da completare. Pur di tornare su quelle gradinate, si affronterebbe di tutto. Anche scalare l'Everest a mani nude. Perché quel "saremo sempre con te" presente in molte sciarpe è vero. L'amore per la nostra squadra è un matrimonio che non muore mai. Non c'è possibilità di divorzio.
L’emozione era ben visibile in quel ragazzo con lo striscione per ringraziare Buffon, in quell’uomo che sventolava orgoglioso la bandiera dell’Atalanta, in quelli che facevano foto o alzavano cartelloni, negli occhi dei presenti. Ma l’emozione era presente anche in tutti i tifosi di calcio che sognavano questo momento. Lacrime e commozione non possono che sgorgare come fiumi in piena. Ma stavolta sono di felicità perché quei 4300 tifosi sono il simbolo di una Nazione che ce la sta facendo. Dando un grande e poderoso calcio alla pandemia.
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