El último Diez: Juan Román Riquelme

La Bombonera non è altro che "La rue Montorgueil" di Monet che prende vita
La Bombonera non è altro che "La rue Montorgueil" di Monet che prende vita / El Grafico/Getty Images
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Il 25 giugno 1978, nell' Estadio Monumental di Buenos Aires, si sta svolgendo la finale dei Mondiali di calcio tra Argentina e Paesi Bassi. L'intero torneo era stato avvolto avvolto da un'atmosfera tesissima, dovuta alla dittatura militare che da più di due anni governava in Argentina, el Proceso, e la finale non fu da meno. Una partita violenta, un tifo che cadeva troppo spesso nelle minacce, un regime che sfruttava il tutto per accrescere il consenso, un'Olanda senza Johan Cruijff, che non partecipò al Mondiale per motivi di sicurezza. Tutto ciò che non vorremmo mai vedere nel calcio. L'Argentina vincerà 3-1, ai supplementari, con una doppietta della maglia numero 10, Mario Kempes, e con la maglia numero 20 di Tarantini sporca di sangue.

A 17 chilometri dallo stadio, ma 24 ore prima, nasceva un altro numero 10: Juan Román Riquelme, soprannominato El Mudo per via del suo carattere introverso. A questa storia manca ancora un pezzo del fil rouge che porta da Kempes a Riquelme. L'erede di quella maglia fu un altro giocatore, che otto anni dopo vinse anche lui i mondiali e anche lui da protagonista: Diego Armando Maradona. Maradona non è un personaggio delle storie argentine degli anni '80, ma ne è il palco, lo sfondo. Raccontare una qualsiasi storia, anche fuori dal campo da gioco, che riguardi l'Argentina in quegli anni, risulta impossibile senza, almeno una volta, nominare Diego. Ma anche Dio, prima o poi, cade, o almeno si ritira, e il Superclásico contro il RIver Plate del 25 ottobre 1997 sarà la sua ultima partita, la sua ultima maglia del Boca sudata. Viene sostituito al 46' dal tecnico Carlos Bianchi, che non ha lasciato grandi ricordi qui in Italia, che al suo posto fa entrare una giovane promessa che aveva da poco vinto il Mondiale U-20, un ragazzino che portava sulla maglia azul y oro il numero 20 e il suo nome, Román. Qualche mese dopo, quel 20 diventerà un 10, e lui sarà El último Diez.

Una fotografia esplicativa
Una fotografia esplicativa / Dal profilo Twitter @YoViARiquelme

Riquelme però è un giocatore diverso da Maradona. Lento. Un aggettivo che mai ci sogneremmo di affibbiare a Diego, ma che su Román assume un significato completamente diverso, un'accezione più che positiva. Fa un po' strano pensare alla lentezza di Riquelme come una delle sue qualità più importanti, abituati come siamo ad un calcio che ormai spinge costantemente oltre i limiti fisici, che si avvicina sempre più ad un flipper con 22 palline che schizzano da una parte all'altra, senza mai fermarsi, alla continua ricerca di un pallone, di un avversario, di uno spazio.

Riquelme non era questo. Lui si fermava. E fermava tutti. Rallentava il gioco, pensava, pensava a tre o quattro giocate possibili, e poi, sceglieva, e sceglieva sempre la migliore. Nel frattempo proteggeva la palla. Era il miglior difensore e il miglior regista della squadra, giocando da trequartista, da enganche, come dicono in Sud America. Il suo modo di giocare sfruttava la pausa, un concetto che si riferisce al rallentamento dei ritmi di gioco (anche nei casi che ci sembrano più assurdi, come un contropiede), che però è utile ad imporre i propri, di ritmi, e che permette scombinare le tattiche e il posizionamento avversario. Nella finale della Coppa Intercontinentale del 2000, tra Boca Juniors e Real Madrid, Riquelme gioca una partita straordinaria, utilizzando la pausa per scardinare il centrocampo madrileno, e riesce sempre a tenere la palla stretta a sé, a spostarsi poco per volta, sfruttando la sua forza fisica paradossalmente elegante, con Hierro, McManaman e Makélélé intorno, che ballano la sua musica.

""Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi""

Jorge Valdano

In quella partita, dà prova anche delle sue capacità da regista e balistiche, fornendo un assist con un lancio da 30 metri al suo miglior amico sul campo (ma non tanto fuori) Martín Palermo, che segnerà il gol del 2-0. La partita la vincerà il Boca Juniors 2-1, con Roberto Carlos che accorcerà le distanze e Riquelme inizia ad essere sotto i riflettori del calcio europeo. Nell' estate del 2002, Juan compie quel passo che sembra d'obbligo per ogni calciatore sudamericano, il trasferimento in Europa. Ad accaparrarselo è il Barcellona di Louis Van Gaal, che gli concede poco spazio, e male. Sorprende pensare che un allenatore esperto come l'olandese abbia pensato di far giocare Riquelme come esterno d'attacco, il ruolo che probabilmente si adattava meno alle sue caratteristiche, portiere a parte. E infatti delude, molto, e dopo un solo anno si trasferisce al Villareal, una squadra che fino a poco tempo prima lottava per non retrocedere nella Tercera División. Anche in questa scelta, forse, possiamo vederci un po' di Maradona.

Apollo e Dafne
Apollo e Dafne / Denis Doyle/Getty Images

Riquelme, con la maglia del sottomarino giallo, rinasce, anche grazie a Manuel Pellegrini, che nel 2004 subentra a Benito Floro, e che regala finalmente all'argentino quello che chiede da anni, in Liga, pur stando in silenzio: libertà a centrocampo. Il tecnico cileno gli costruisce la squadra attorno e nella stagione 2005/06, dopo una coppa Intertoto e un incredibile terzo posto in campionato, El Submarino Amarillo sconfigge ai quarti di finale della Champions League l'Inter, una delle squadre favorite, ed arriva alle semifinali, dove se la dovrà vedere con l'Arsenal. È un risultato storico, e Riquelme è il protagonista indiscusso di questa storia. Ma è anche un finale amaro, perché dopo la sconfitta per 1-0 all'andata in casa dei Gunners, la partita di ritorno sembra indirizzata verso lo 0-0. A 3 minuti dalla fine viene fischiato un rigore per il Villareal, può essere il gol che porterebbe le squadre ai supplementari, che darebbe una chance agli spagnoli di raggiungere la partita più importante di tutte. Al dischetto Juan Román Riquelme. Sbaglierà, Lehmann parerà il rigore, e Riquelme dopo 6 mesi verrà messo fuori rosa per un litigio con Pellegrini.

Il rigore parato da Lehmann
Il rigore parato da Lehmann / Alex Livesey/Getty Images

È il momento del grande ritorno. Nel mercato di gennaio del 2007, l'enganche argentino e gli Xeneizes si possono finalmente riabbracciare. Riquelme torna al Boca Juniors in prestito, torna a calpestare l'erbetta della Bombonera. I tifosi sono in delirio. Riquelme, e i trofei che aveva portato, non sono mai stati dimenticati. E la sua seconda avventura a Buenos Aires è stata un sequel diretto della prima, con 2 campionati e una Copa Libertadores vinti, e, nel 2008 e nel 2011, il premio di miglior calciatore argentino dell'anno, arrivando a un totale di 4 in carriera (raggiungendo un certo Diego...). Certo, in mezzo c'è stato un ritorno in Spagna dal prestito, ma dopo 6 mesi, il Boca acquisterà a titolo definitivo il suo campione.

È un'altra partita importante persa quella che sembra voler separare nuovamente i tifosi dal loro idolo, questa volta la finale di Copa Libertadores, nel 2012, vinta dal Corinthians. A fine partita è sconsolato. "Per me è una decisione difficile, ma mi sento di non aver più nulla da dare" dichiara, svincolandosi per amore, si direbbe. Era il 5 luglio. In realtà, come ogni calciatore che si rispetti, non riesce a stare lontano da quel campo, e dopo sette mesi fa il suo terzo ritorno nel club giallo-oro. Il 31 marzo 2014, Juan Román Riquelme segna l'ultimo dei 43 gol totali segnati con quella maglia, e lo segna agli odiati rivali del River Plate, con una punizione bellissima.

Quella sarà la sua ultima stagione con il Boca Juniors, ma non la sua ultima stagione nel calcio giocato. Nel 2014 torna alla sua prima squadra, quella che l'aveva accolto e cresciuto nelle giovanili, l'Argentinos Junior. Deve saldare un debito con chi per primo ha creduto in lui, deve riportarli nella prima divisione argentina. Dopo una sola stagione le Formiche Rosse tornano in Primera División, e Riquelme annuncia il suo ritiro il 25 gennaio 2015, a missione compiuta.

La storia di Riquelme non è una storia di fallimenti, o di rivalsa. Anzi. Román ha vinto tanto (anche se nulla in Europa), ma soprattutto è stato un giocatore amato, e ancora oggi nel barrio de La Boca è possibile vedere graffiti e murales che lo omaggiano. Riquelme è stato sì, sottovalutato, ma la sua è una storia di successo, perché il suo successo è stato questo: un ricordo indelebile nel cuore dei suoi tifosi. Il suo successo è stato essere l'ultimo portatore del 10 argentino, del ruolo di enganche, anche se, a volte, con un 8 sulle spalle. Il suo successo è stato l'ultimo successo di un uomo che giocava pensando. Lui è stato El último Diez.

Abbracciami fino a che non torna Román
Abbracciami fino a che non torna Román /

P.S.: questa storia inizia con un filo rosso che collega i grandi 10 argentini, e voglio concluderla allo stesso modo. Riquelme nasce il 24 giugno 1978. 9 anni dopo, lo stesso giorno, molto distante da Buenos Aires, a Rosario, nasce un argentino che sarà erede di quel magico numero, per quanto interpretato in maniera radicalmente diversa: un certo Lionel Messi.


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