Cosa è stato Adriano Leite Ribeiro e cosa poteva diventare

Adriano
Adriano / New Press/GettyImages
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È il 14 agosto del 2001 quando al Bernabeu si gioca l'amichevole tra Real Madrid e Inter. Sembrava essere un match come tanti altri ma nessuno poteva aspettarsi un gol da cineteca da uno sconosciuto. A segnarlo è Adriano Leite Ribeiro. In occasione di un calcio di punizione il brasiliano decide di incaricarsi della battuta, facendo partire un tiro secco e violento battendo Iker Casillas.

Molti anni dopo l'ex attaccante racconterà proprio ai canali ufficiali del club quella prodezza: "Mi procuro una punizione, dalla panchina mi invitano a tirarla. Ricordate quel sinistro che allenavo in casa e per strada, quello che faceva impazzire mia mamma? Ecco, l’ho presentato al mondo con quella punizione, dicono andasse a 170 all’ora!".

Un sinistro magico, che faceva impazzire sua mamma e che ancor oggi rievoca nei tifosi interisti dolci ricordi. Dopo tre anni da quella punizione, Adriano va ancora a segno. Stavolta il match è di campionato e di fronte c'è l'Udinese. Il copione è sempre lo stesso: punizione e.... bam! Sinistro imprendibile alle spalle del portiere. E poi? Un contropiede micidiale, un coast to coast d'antologia culminato sempre con quel sinistro fatato e letale.

Sembrava andare tutto per il verso giusto, con lo Stadio San Siro pronto a consacrare un nuovo campione. Invece era l'inizio della fine: Adriano non riusciva a capacitarsi della scomparsa di suo padre. Le cose cominciarono di colpo a precipitare: brusco k.o. e anche... un'intervista rilasciata ai media spagnoli dichiarando tutta la sua stima nei confronti del Real Madrid.

L'altra scintilla arrivò a marzo della stessa stagione in occasione dell'ottavo di Champions tra l'Inter e il Porto. Adriano sembra essere tarantolato: tripletta, col club lusitano annichilito e con tutto lo stadio in visibilio per L'Imperatore. I fantasmi del passato però tornano: Adriano sente la pressione e anche la mancanza del padre. Successivamente sarà poi lui stesso a dichiarare la sua depressione, con quest'ultima poi sfociata nella dipendenza dall'alcol, come ha raccontato a The Player's Tribune: "Ero in Italia, dall’altra parte dell’Oceano, lontano dalla mia famiglia e non ce l’ho fatta. Sono caduto in depressione. Ho iniziato a bere tanto. Non avevo voglia di allenarmi. L’Inter non c’entra niente. Io volevo solo andare a casa".

Quella favela... definita dal brasiliano come il luogo sicuro e lo spazio per liberarsi dalle pressioni. Una volta tornato chiese di non essere chiamato più "Imperatore", quasi a voler dimenticare quel mondo da cui stava cercando di scappare. Ora sembra essere finalmente sereno, libero da un'etichetta pesante e da uno stile di vita che non gli s'addiceva. Come un campione della gente che forse non è scomparso, ma che è solo ritornato a casa.

"Sono stato davvero orgoglioso di essere L’Imperatore. Ma senza Adriano, L’Imperatore è inutile". Quell'Adriano che forse - con un po' di impegno, coraggio e pazienza - sarebbe potuto diventare il più forte del mondo.


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