Come si è svegliato un tifoso della Roma dopo la vittoria della Conference League
Stamattina Roma è silenziosa. Di solito, infatti, a svegliarmi sono i clacson delle macchine e le urla della gente in ritardo. Oggi però tutto tace. O quasi. L'unica eccezione sono il rumore del tram e lo starnazzare dei gabbiani che - come ben saprete - vanno a procacciarsi cibo nelle strade della Capitale.
Prima di iniziare a lavorare, sono sceso in strada per accertarmi della situazione e non ho visto i tanti ragazzi che ogni giorno si recano presso la scuola vicino casa mia, non c'erano neanche molti pendolari in attesa del bus. Poi qualcosa mi ha colpito particolarmente: nell'aria si sentiva ancora un forte odore di zolfo, lasciato dai fuochi d'artificio sparati l'altra notte.
Già, l'altra notte.
Quella di ieri è stata serata magica per la parte giallorossa della città. Quando mi sono alzato dal letto non vedevo l'ora di scrivere questo articolo per raccontarla dal mio punto di vista, ossia quello di un tifoso troppo giovane per ricordare l'ultimo successo della sua squadra, ma ora abbastanza maturo da portarsi per sempre nel cuore le emozioni della vittoria in Conference League.
Tuttavia, mi ritrovo davanti a due ostacoli. Il primo riguarda - banalmente - le poche ore di sonno che ho in corpo. Su per giù avrò dormito dalle 4 alle 7.30, quindi vi chiedo di perdonare ogni strafalcione o inesattezza che potrebbe essere presente nel mio pezzo. L'altra difficoltà che devo affrontare è perfino più ostica: il coinvolgimento emotivo della partita che sta inibendo la mia neutralità giornalistica. Fosse per me, adesso scriverei frasi del tipo: "Daje, 'nnamo tutti ar Circo Massimo a festeggià!", però ne andrebbe della mia (già scarsa) credibilità.
Visto che non riesco ancora a razionalizzare quello che è successo ieri sera, mi limiterò a descrivere le sensazioni che provo in questo momento da tifoso della Roma. Magari un giorno il mio piccolo cervelletto si renderà conto di aver assistito a un evento storico - perché stiamo parlando di evento storico per il club - e potrò scrivere un articolo in merito. Ma quel momento non è ancora arrivato.
Da dove cominciamo? Prima di tutto dal dire che, mentre scrivo queste parole, sento il mio cuore più leggero, è come se mi fossi tolto un peso che mi portavo avanti da anni. Dopo ieri sera, la mia squadra non è più etichettabile come una perdente, ma risulta invece - parlano i fatti - campione d'Europa.
Il pensiero torna indietro di diversi anni, quando frequentavo il liceo. Non essendo nato a Roma, da ragazzino non ho mai avuto modo di esercitare la mia fede giallorossa che, al contrario, veniva derisa da tutti i miei compagni. Loro tifavano per le varie Inter, Juventus e Milan e si sentivano in ragione perché le loro squadre erano più vincenti della mia. Solo che quando vincevano uno Scudetto o una Coppa Italia la vivevano come se nulla fosse, mentre se sei romanista vivi ogni successo in maniera più profonda perché sai che non capita tutti i giorni.
Oltre all'essermi preso la mia personalissima rivincita e a sentirmi finalmente il tifoso di una squadra che vince qualcosa, provo il desiderio di - perdonate la ripetizione - voler provare di più. Mi spiego meglio: aver portato a casa la Conference League conferisce alla Roma maggior rilievo a livello internazionale e discreti introiti a livello economico. Perché dobbiamo fermarci qui?
Quello di ieri sera non dev'essere un traguardo, ma un punto di partenza verso un progetto a lungo termine che porti i giallorossi a competere ogni anno per un trofeo, che sia Scudetto, Coppa Italia o una manifestazione europea.
Infine, e qui svesto i panni del romanista "fracico", provo una sorta di rammarico per tutte quelle squadre che snobbano questo o quel trofeo perché li considerano "coppette". Certo, per ampi tratti il livello della Conference League non è stato eccezionale, ma dai quarti di finale in poi non aveva nulla da invidiare a quello dell'Europa League. Competizione, questa, che le italiane hanno affrontato sottogamba e che molti addetti ai lavori, come presidenti e allenatori, reputano un intralcio verso gli obiettivi in campionato.
Ci lamentiamo spesso della parabola discendente della Serie A e della condizione generale del movimento calcistico italiano; tuttavia, se non ripartiamo da qui, dalle "coppette", come possiamo pretendere di sollevare al cielo trofei più ambiti come la Champions League?
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