Come Dario Hübner
Cammini con addosso un po' di stanchezza. L'arbitro del campetto ha appena fischiato la fine del primo tempo, e ti stai dirigendo verso il bagno per fare qualche tiro di sigaretta. Marlboro Rosse. Pochi tiri, perché gli amici già ti chiamano, e si sta facendo tardi. Sigaretta buttata nel gabinetto con un po' di rimpianto, qualche saltello e si entra in campo. Dopo alcuni minuti, un lancio di un ragazzino che gioca con voi è perfetto, la stoppi di petto spalle alla porta e ti giri velocissimo, colpendo la palla dopo il rimbalzo. Gol. Esulti, insieme agli amici, hai fatto un grande gol. Solo che il gol l'hai fatto alla squadra di Pagliuca, Ronaldo, Zanetti, Simeone, Bergomi. Il campetto è San Siro. I tuoi amici sono i giocatori del Brescia. Quel ragazzino è Andrea Pirlo. E tu sei Dario Hübner.
Il calciatore operaio, il vecchio mulo, il Bisonte, il Tatanka. Soprannomi che ci dicono tanto di come giocava Hübner, ma anche di che tipo di uomo fosse. Un vecchio uomo, una sigaretta in mano e un bicchierino di grappa, seduto al bar, a guardare una partita ed imprecare, la sera, e a lavorare duramente durante il giorno. Hübner lavorava e lavorava e lavorava, prima come fabbro, poi come calciatore, ma continuava a lavorare, a impegnarsi, a segnare in tutti gli stadi d'Italia per poi tornare dagli amici e dalla moglie, nel paesino vicino Cremona dove si era trasferito. La sua prima vera partita l'ha giocata su un campo di terra, con la Pievigina. Non segna caterve di gol, 10 gol in 25 presenze, ma si fa notare da alcuni osservatori, che gli propongono di diventare un calciatore a tutto tondo, lasciando il suo lavoro fuori dal campo. I dubbi lo attanagliano. Cosa fare?
Ma l'amore per il calcio di Hübner vince, e accetta l'offerta della Pergocrema, con cui esordisce nei professionisti, in C2. Poi va al Fano, dove con i suoi gol entra nel cuore dei tifosi, che gli affibbiano il soprannome di Tatanka, bisonte in lingua Sioux (era appena uscito nelle sale Balla coi lupi). Hübner era a tutti gli effetti un bisonte quando correva: forte fisicamente, non velocissimo, ma possedeva un'accelerazione istantanea, e poi quel modo di correre ingobbito, sgraziato, come se dovesse arrivarci lui in porta, sfondando la rete. Dopo i primi 2 anni dove la media gol non è particolarmente alta, nella stagione 1991-92, a 25 anni, diventa capocannoniere della C1 con 14 gol. Da quel momento in poi, fino al 2003, in ogni squadra, in ogni campionato, Hübner sarà sempre in doppia cifra.
Il Cesena lo acquista dal Fano, affidandogli l'attacco. E non poteva esserci scelta più giusta, visto che Hübner, nei 5 anni in Emilia-Romagna, segna 83 gol, con una media di un gol ogni due partite. Un risultato incredibile, soprattutto per un ragazzo che fino a qualche anno prima non aveva mai giocato su un campo in erbetta, e che ha dovuto imparare a stoppare la palla perché scivolava troppo rispetto alla terra. Nel '96 diventa capocannoniere della Serie B, con 22 gol, tra rigori e corse tumultuose e grezze.
Il Brescia decide di portarlo con sé in Serie A nel '97. A 30 anni, il bomber triestino riesce finalmente a esordire nella massima serie. Se lo aspettava, Dario, aveva vinto la classifica cannonieri, era stato sempre costante e si sacrificava tanto anche per la squadra. Ma non si sarebbe mai aspettato di rischiare di rovinare l'esordio in A di Ronaldo, con la maglia dell'Inter. Proprio la stessa Inter di cui è tanto tifoso. Al 74' un lancio di Pirlo e il gol, bellissimo. È il suo più bel ricordo, tra i tanti che potrebbe nominare. Vedere per la prima volta 85.000 persone in uno stadio e azzittirli tutti. Lui, un uomo normalissimo, che semplicemente lavorava e amava il suo lavoro, diventa leggenda. Certo, un altro debuttante di nome Recoba segnò una doppietta che fece vincere i nerazzurri, ma non è importante, non in questa storia.
Anche se lo stesso Hübner non sarebbe d'accordo. Per lui l'importante è sempre stato la squadra, il gruppo. Poteva segnare tutti i gol che voleva, e l'ha fatto, ma se la squadra perdeva, lui si incazzava. Il suo trucco era staccare dopo i 90 minuti. Si definisce un uomo che ha sempre avuto i piedi per terra, perdeva e stava male, ma dopo un giorno era al massimo, vinceva e festeggiava, ma non si gasava mai troppo. Su di lui troppo spesso è stata disegnata una retorica del calciatore non professionale, che beveva e fumava, ma ad un'occhiata meno superficiale, sembra che Hübner sia stato in realtà molto più professionale di quello che si racconta. Lui stesso dice che i suoi allenatori non si sono mai lamentati del suo vizio, perché bastava che si impegnasse. E si impegnava, eccome, concedendosi le sue imperfezioni, magari un bicchierino la sera, o una sigaretta con gli amici, con i compagni di squadra. Che spesso fumavano quanto e più di lui, ma di nascosto.
"Quando fumavo era alla luce del sole. In ritiro il mio beauty era pieno di accendini dei compagni: li compravano, fumavano dal sabato mattina alla domenica prima della partita e poi basta. Non lo facevano sapere nemmeno alle mogli, volevano salvare la loro immagine. Ma di cosa bisognava vergognarsi? Prima di scendere in campo nel sottopassaggio fumavo sempre. Giusto qualche tiro eh, mica tutta la sigaretta. Anche tra primo e secondo tempo, mi stemperava e mi rilassava. Ognuno aveva il suo: chi si faceva i massaggi, chi beveva sali minerali, io andavo in bagno e accendevo. Gli allenatori si lamentavano? No, sapevano che ero fatto così. Anche il grappino mi piace, ma mica arrivavo ubriaco alle partite."
- Dario Hübner
Nonostante i 16 gol nella stagione di esordio, il Brescia retrocede in Serie B, ma dopo due anni in cui il nostro Bisonte segna 42 gol totali, ritorna ai massimi livelli. Hübner ricorda con affetto tutte le squadre in cui ha giocato, e parla dei suoi compagni al Brescia come di vecchi amici. Si ritrovavano la sera, prima della partita, sul terrazzo a chiacchierare e divertirsi. E forse, in ritiro pre-campionato, proprio una di quelle sere arriva la notizia che Roberto Baggio vestirà la maglia del Brescia, grazie all'allenatore delle rondinelle Carlo Mazzone.
I due dialogano, si trovano sempre e segnano 27 gol in due, ottenendo il settimo posto e la qualificazione alla Coppa Intertoto, tutt'ora il miglior posizionamento della storia del Brescia. Ma Hübner è un attaccante che va in profondità, che scatta, mentre a Baggio serve una punta più statica. Dario allora se ne va al Piacenza, neopromosso. Al Brescia viene sostituito da un giovane Luca Toni, che poi gli soffierà in futuro un altro posto, nella classifica dei record. Quello di capocannoniere di Serie A più anziano.
"A me non cambia niente, io ho sempre segnato anche senza di lui"
- Dario Hübner su Roberto Baggio
Prima del Piacenza, però, c'erano state altre offerte. Una, in particolare, dalla Premier League, un contratto ricco, uno di quelli che l'Hübner di neanche 5 anni prima non si sarebbe neanche sognato. Ma rifiuta, tranquillamente, perché voleva stare vicino alla famiglia, a Crema, e Piacenza è solo a 40 minuti di strada. Decide di non entrare di diritto nel calcio dei grandi, per rimanere accanto ai suoi affetti. E paradossalmente, lo stesso anno, nel calcio dei grandi ci entrerà comunque, a suo modo, ingobbito e con la testa bassa.
Sì, perché nella stagione 2001/2002, con la maglia dei biancorossi Hübner vincerà anche la classifica cannonieri di Serie A, con 24 gol, a pari merito con Trezeguet. Unico calciatore insieme a Igor Protti a vincere il premio di miglior marcatore del campionato in Serie C1, B e A. Capocannoniere più anziano della storia, a 35 anni, prima di essere spodestato dal già nominato Luca Toni, che nel 2015 ci riuscirà a 38 anni. E tutto questo in un Piacenza, che aveva una rosa di certo neanche paragonabile a quella della Juventus di Trezeguet. È questa stagione il suo apice, ma, purtroppo, alla fine di questa, vivrà l'unico rimpianto della sua vita da calciatore. Non fu mai convocato in Nazionale, neanche da capocannoniere. Con tutta l'umiltà del mondo, Hübner dice che gli sarebbe bastata un'amichevole, non voleva essere convocato per il mondiale in Corea, gli sarebbe bastato vestire almeno una volta la maglia azzurra. Trapattoni, forse preoccupato dall'età, non lo convocò mai. A quel mondiale non ci andò neanche il suo ex-compagno (e coetaneo) Baggio, che però aveva subito dei gravi infortuni durante tutta la stagione. Per questo l'esclusione del triestino era ancora più scandalosa, data una forma fisica sempre eccezionale.
Tuttavia, il "Re dei bomber di provincia", ottiene la sua soddisfazione. È il famoso 5 maggio 2002. Ultima giornata. L'Inter perde lo scudetto all'Olimpico, contro la Lazio, ma un'interista è comunque felice. Perché quell'interista segna una doppietta al Verona, salvando il suo Piacenza dalla retrocessione, raggiungendo la vetta della classifica marcatori, e dopo la partita viene chiamato dal suo agente, che gli dice che tra pochi giorni partirà in tournée con il Milan, in America. Hübner forse non ha sentito bene, chiede spiegazioni. Invece è esattamente così. Lui, al Milan di Ancelotti, Maldini, Shevchenko, Nesta.
La tournée con i rossoneri non si concluse con l'acquisto definitivo, mancava pochissimo, ma il Piacenza chiedeva troppo a quanto pare. Hübner è dispiaciuto, ma non rivive quel momento con rimpianto. Gli è bastato quello, andava bene così, e magari in una grande non sarebbe stato in grado di esprimersi al meglio come in periferia. O forse sì, ma non ci importa, e non importava neanche a lui. Parte la sua stagione, la seconda con la maglia biancorossa, segna 14 gol, ma alla fine non riesce ad evitare la retrocessione.
L'anno dopo però Hübner è ancora in Serie A, all'Ancona, e per la prima volta dal 1991 non andrà in doppia cifra, ma riesce comunque a segnare tre gol con il Perugia, dove si era trasferito durante il mercato invernale. Da lì, va al Mantova, scendendo in Serie C1 e contribuendo alla sua ultima soddisfazione, la promozione in B. Hübner, a 38 anni, smette con il calcio agonistico, ma non smette di giocare, di segnare, di correre, di fumare. Continuerà la sua carriera tra squadre dilettantistiche, e segnerà caterve di gol, come un supereroe che viene ad aiutare le indifese squadre di Serie D e Eccellenza.
La sua ultima partita in carriera, con il Cavenago, non la siglerà con un gol, ma con un rigore sbagliato, un gol in fuorigioco, la successiva bestemmia e l'espulsione. A modo suo, insomma. Me lo immagino, mentre rientra negli spogliatoi e si accende una sigaretta. Arrabbiato, ma consapevole che gli sarebbe passato tutto. Sono state raccontate tante cose su Hübner, e anche tante bufale, quasi a dipingerlo come un uomo irrispettoso, che se ne fregava delle regole, che arrivava ubriaco alle partite. In realtà, alla fine degli anni '90 e nei primi 2000, i tifosi vedevano segnare a raffica un uomo che era come loro, che era come quell'amico che incontravano sempre al bar. Che amava il suo lavoro, certo, ma anche che si impegnava duramente, ogni giorno, pur non rinunciando ai piccoli piaceri della vita, quei vizi che sai essere sbagliati, ma che ti rilassano così tanto che non puoi farne a meno: una sigaretta sul balcone, un goccino di grappa la sera dopo cena, mentre parli con gli amici, o sei a casa, in famiglia.
Amici e famiglia. Quasi tutte le squadre che hanno avuto tra le loro fila Dario, sono sempre state a pochi chilometri dal suo paesino in provincia di Cremona. Ha rifiutato la Premier League per rimanere nella sua cascina ristrutturata, vicino al bar che aveva aperto. Parla sempre delle sue squadre, delle società che ha vissuto come famiglie, dei presidenti come padri. Nelle sue interviste si finisce spesso a parlare del concetto di squadra-famiglia, contrapponendolo a quello del calcio come business e dei calciatori come "11 industrie, invece di 11 operai". Quel calcio non c'è più, ma rimane nei ricordi di chi ha seguito quest'uomo, di chi l'ha tifato e di chi gli ha urlato contro. Quel calcio non c'è più, schiacciato dalla squadra-azienda, e da giocatori che sembrano aver perso il piacere genuino di dare dei calci ad un pallone sull'erbetta, correndo come un bisonte, preferendo invece costruire su di sé una narrativa fasulla, magari aiutati dai social. Hübner non l'ha mai fatto. È sempre stato sincero, schietto, sé stesso. Non ha mai amato raccontarsi come singolo, preferisce farlo sempre al plurale. E allora, lo raccontiamo noi.
Segui 90min su Facebook, Instagram e Telegram per restare aggiornato sulle ultime news dal mondo della Serie A.