ESCLUSIVA | Alvaro Pereira: "All'Inter avrei potuto fare di più. Una cosa in particolare mi diede fastidio"

FC Internazionale Milano v Trapani Calcio - Tim Cup
FC Internazionale Milano v Trapani Calcio - Tim Cup / Valerio Pennicino/Getty Images
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L'esperienza di Alvaro Pereira con la maglia dell'Inter è stata caratterizzata da più ombre che luci. L'esterno uruguaiano, che ora milita nel Club River Plate di Asuncion, ha deluso le aspettative della società nerazzurra, che lo acquistò nel 2012 dal Porto per circa dieci milioni di euro. Nell'arco di un anno e mezzo, prima di essere ceduto al San Paolo nel gennaio 2014, Pereira ha collezionato 46 presenze ufficiali e realizzato una sola rete, che certamente rappresenta uno dei pochi ricordi felici sotto al Duomo. È lo stesso calciatore a rivivere i momenti trascorsi in Serie A, a cui sono seguite le parentesi in giro per il mondo con Estudiantes, Getafe, Cerro Porteno e Nacional.

Sandro Pereyra/Getty Images

Intervistato dai nostri colleghi di 90min Spain, Pereira ha raccontato alcuni interessantissimi aneddoti in merito ai propri trascorsi in Italia e non solo. Queste le sue parole:

Come mai hai scelto l’Inter e cosa ricordi della tua esperienza in nerazzurro?

"L’Inter è arrivata dopo anni meravigliosi trascorsi con la maglia del Porto, però sentii che era arrivato il momento di fare un passo importante per la mia carriera. Oggi posso dirti che non so se fosse il momento giusto. Arrivai all’Inter poco dopo che avevano vinto il Triplete e anche se il club era in fase di ristrutturazione, aveva una rosa ampia ed era pur sempre una big in un campionato importante come la Serie A. Però devo dirti che la mentalità era diversa, per esempio al Porto quando si perdeva era la Terza Guerra Mondiale. All’Inter non era proprio così, ricordo benissimo che in una partita contro l’Atalanta perdevamo 3-0, siamo entrati io e Ricky Alvarez e siamo andati sul 3-2 sfiorando la rimonta. Alla fine della partita, nonostante fossimo a metà campionato e lottavamo con la Juventus e venivamo da 9 vittorie consecutive, venne un dirigente e mi disse che andava bene così, che non si potevano vincere tutte le partite. Quella per me fu una pugnalata al cuore, perché pensavo che comunque noi fossimo l’Inter e dovessimo sempre giocare per vincere. Ho un grandissimo rispetto per l’Atalanta che oggi sta facendo cose importantissime, ma all’epoca era una squadra da metà classifica. Io mi guardai con Ricky Alvarez e non volevamo credere a ciò che avevamo appena sentito. Io avevo un’idea diversa, per me eravamo l’Inter e dovevamo vincere su tutti i campi. A quel punto non nego che mi chiesi se fosse stata la scelta giusta. Ovviamente ci sono anche ricordi importanti, la mia vita cambiò ed è stato comunque il club più importante in cui ho giocato, coronando il sogno di indossare la stessa maglia vestita dai miei idoli Ruben Sosa e Recoba, però quell’episodio mi diede fastidio, chiesi spiegazioni a Zanetti con cui avevo un bellissimo rapporto e mi disse che anche a lui dava fastidio, però essendo lì dal 1995 era abituato e che il club era stato molto tempo senza riuscire a vincere trofei. Mi fece capire che negli anni precedenti al mio arrivo si era vinto tantissimo e quindi in quel momento potessero capitare episodi come quello di Bergamo. A quel punto capii però per me era proprio una questione personale. Io quando perdo, mangio male, dormo male e il giorno dopo continuo ad essere arrabbiato e sarò così fino a quando non mi ritirerò perché è semplicemente il mio modo di essere".

Se fossi capitato nell’Inter del Triplete o in quella di oggi pensi che sarebbe stato diverso?

"Non saprei dirtelo, io volevo continuare ad essere al centro del progetto come in Portogallo, per poter esprimere al meglio le mie caratteristiche. Mi è costato molto adattarmi al calcio italiano, in cui devi capire quando andare, quando aspettare e soprattutto cambiare il tuo sistema e il tuo modo di giocare da una partita all’altra in funzione di come giocherà la squadra avversaria. Venivo dal Porto in cui si giocava 4-3-3 e l’obiettivo era quello di vincere tutte le partite attaccando. All’Inter dovevi pensare all’avversario anche quando giocavi contro il Chievo Verona e magari ti dicevano che si partiva con un 5-3-2 e si doveva attendere l’avversario. Questo ha penalizzato le mie caratteristiche che invece sono riuscito a mettere in mostra al Porto. Io sono molto autocritico nei confronti di me stesso, quindi so perfettamente che ho avuto un problema di adattamento e che avrei potuto fare molto di più con la maglia dell’Inter".

La Serie A è un campionato differente rispetto a tutti gli altri in cui hai giocato?

"Si, è un campionato in cui tutti possono vincere contro tutti. Un misto tra bel gioco e alcune partite in cui si ha la sensazione di giocare da 5 ore. Io però preferisco di più quando le squadre si affrontano a viso aperto come in Inghilterra, Portogallo e Spagna. Il campionato spagnolo è più tattico e si basa molto di più sul possesso palla, però per le mie caratteristiche preferisco decisamente i campionati in cui si gioca un calcio più offensivo e basato sull’uno contro uno".


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