Vialli a cuore aperto: "Racconto tutto: la Juve, la Samp, il doping e soprattutto la mia malattia"

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FBL-FIFA-AWARDS / ADRIAN DENNIS/GettyImages
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L'ex calciatore della Juventus, Gianluca Vialli, ha rilasciato alcune dichiarazioni al Corriere della Sera svelando parte del contenuto del suo libro “Goals: 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili”. Queste le sue parole:

Lei è stato sempre un calciatore diverso dagli altri. Parla bene, pubblica libri...

"Io sono cresciuto all’oratorio, come tutti. Non c’era la playstation, la tv aveva un solo canale. Sono della generazione di Carosello. E come tutti ho imparato dai preti a giocare a pallone; a patto di frequentare anche il catechismo Votavo per il artito repubblicano, come papà. Mio padre costruiva prefabbricati. Sono il più piccolo di cinque figli: Mila, Nino, Marco, Maffo. Oggi guardo i politici litigare, strillare, twittare furiosamente, e non capisco. In Inghilterra, se un politico si comporta in modo scorretto, si dimette e chiede scusa. È un mix di disciplina e libertà: si pagano le tasse, si fa la coda, ci si ferma alle strisce pedonali".


Vialli
Vialli / Image by Francesco Manno

Nel libro racconta della esperienza della malattia. Il cancro

"Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma non è stato possibile. E allora l’ho considerata semplicemente una fase della mia vita che andava vissuta con coraggio e dalla quale imparare qualcosa. Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene: i miei genitori, i miei fratelli e mia sorella, mia moglie Cathryn, le nostre bambine Olivia e Sofia. E ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano. Poi ho deciso di raccontare la mia storia e metterla nel libro".

Come sta ora?

"Bene, anzi molto bene. È passato un anno e sono tornato ad avere un fisico bestiale (Vialli ride). Ma non ho ancora la certezza di come finirà la partita. Spero che la mia storia possa servire a ispirare le persone che si trovano all'incrocio determinante della vita. E spero che il mio sia un libro da tenere sul comodino, di cui leggere una o due storie prima di addormentarsi o al mattino appena svegli. Un’altra frase chiave, di quelle che durante la cura mi appuntavo sui post-it gialli appesi al muro, è questa: “Noi siamo il prodotto dei nostri pensieri”. L’importante non è vincere; è pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10 per cento di quel che ci succede, e per il 90 per cento di come lo affrontiamo. Spero che la mia storia possa aiutare altri ad affrontare nel modo giusto quel che accade".


Con Mancini formava una coppia formidabile alla Sampdoria

"Siamo più che amici, fratelli. Quando hai la stessa età e hai condiviso per tanti anni il campo di battaglia, puoi stare molto tempo senza sentirti, ma il rapporto rimane per sempre".


Com’è giocare nella Juve?

"Un onore, e un onere. Senti il peso della maglia, il dovere di riconsegnarla piegandola per bene e riponendola un po’ più in alto di dove l’avevi presa. E poi Torino, che aveva fama di città fredda e grigia, in realtà è meravigliosa. Moggi? Un dirigente che ti metteva nelle condizioni di dare il massimo; e i calciatori pesano i dirigenti da questo. Non dal mercato o dalla politica. Quella Juve avrebbe potuto vincere 6 o 7 scudetti su 10, rispettando le regole. Ma poi la gola ha fatto sì che tentasse di vincerli tutti, non rispettando le regole".

Dica la verità: gli arbitri favorivano la Juventus?

"No. Ne ho anche discusso con i colleghi. Vede, un calciatore tende sempre a pensare che gli arbitri stiano complottando contro la sua squadra. A volte diventa uno sprone a reagire e dare il meglio".

La Juve fu assolta nel processo per doping, ma venne fuori un largo uso di farmaci

"Posso parlare per me. Avrei potuto vivere più serenamente quella vicenda, come altri colleghi. Non ce l’ho fatta. Fu un’ingiustizia. È possibile discutere se sia meglio per una distorsione dare il Voltaren, o andare 15 giorni in montagna a riposare. Non è possibile mettere in dubbio i risultati di una carriera. All’inizio ci ho sofferto. Poi ho capito che se ti preoccupi di quello che pensano gli altri appartieni a loro. Prendemmo la creatina per qualche mese alla Juventus. Come tutti. Lecitamente".



Oltre ad Agnelli la cercò il Milan di Berlusconi.

"E il Napoli di Maradona".

Perché rimase a Genova?

"Ogni volta Mantovani mi chiamava in ufficio, e mi spiegava la sua missione: sfidare lo status quo, ribaltare le gerarchie del calcio. Quando uscivo mi pareva di camminare sulle acque. Ero innamorato di lui, della squadra, dell’ambiente".

Chi è il più grande contro cui ha giocato?

"Il Maradona di Messico ‘86: avevo 22 anni, provavo soggezione per Bearzot e il suo carisma. C’erano Zico, Platini, Gullit, Van Basten, Matthaeus".

Il più forte con cui ha giocato?

"Sono stato un centravanti fortunato. Ho corso per Mancini, Zola, Baggio, Del Piero. Lippi? Il mio messia. Al primo colloquio gli dissi che volevo lasciare la Juve. Mi rispose: 'Proprio ora che arrivo io e ho bisogno di te?'".