Marotta torna sulla nomina di Chivu e parla dell'abbattimento di San Siro

Giuseppe Marotta
Giuseppe Marotta / Emanuele Cremaschi/GettyImages
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Ospite dell'executive master Management dello Sport organizzato dalla Rcs Academy Business School, Giuseppe Marotta è tornato sulla scelta di affidare la panchina dell'Inter a un tecnico emergente come Cristian Chivu. Una decisione coraggiosa, ma che ha ripagato il presidente nerazzurro che ha ascoltato chi invocava il ritorno di José Mourinho. Nel proprio intervento Marotta ha parlato anche dell'abbattimento di San Siro, un passo doloroso ma necessario per guardare al futuro.

Un retroscena:
"Ricordo che nel 1983 il presidente nerazzurro dell'epoca, Pellegrini, mi chiese di venire all’Inter come piccolo manager. Lui però amava occuparsi direttamente della gestione, quindi sono certo che se avessi accettato oggi non sarei presidente. Non serve velocità, bisogna arrivare ai traguardi con calma e saper gestire i momenti. Il mio culmine personale l’ho raggiunto alla Juve: avevo quasi 60 anni e una padronanza massima delle mie capacità professionali".

Sulla scelta di Chivu come allenatore:
"Io mi meraviglio che le persone si siano sorprese della bravura di Cristian. L’abbiamo scelto perché rappresenta valori importanti, c’è stato il coraggio di andare controcorrente anche a livello mediatico. Qualcuno addirittura evocava Mourinho, che con tutto il rispetto... Se non avessi avuto coraggio mi sarei pentito".

Sul PSG:
"L'equazione non è più 'se spendo, vinco', ma va moltiplicata la motivazione per la competenza. Ed è quello che hanno fatto i francesi, cambiando modello di riferimento: basta nomi enormi, via ad investimenti su giovani talenti".

Su San Siro:
"Per i vecchi romantici, pensare all’abbattimento di San Siro porta amarezza e nostalgia. Io stesso, per la prima volta, ci sono entrato nel 1966… È stato un contenitore di enormi emozioni. Ma così non si tiene conto dell’innovazione, che passa anche dal concetto di modernità. Bisogna rispettare i criteri che devono essere presenti all’interno di uno stadio: sicurezza, che non c’è, accoglienza, per poter stare allo stadio tutto il giorno con intrattenimento di ogni genere, e senso di appartenenza. Avere una propria casa. Non era immaginabile una ristrutturazione, e così si è arrivati all’abbattimento. Ma bisogna farlo per forza. Lo stadio nuovo porta benefici diretti e indiretti, non avere più una cattedrale nel deserto ma un punto di riferimento anche in settimana, dare vita ad attività sociali. Noi oggi siamo fanalini di coda. Incassiamo 80 milioni l’anno dai matchday, l’obiettivo del Real è superare mezzo miliardo".


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