La condizione ritrovata, la Nazionale e un possibile addio al Sassuolo: parla Berardi

Intervista a tutto tondo, quella rilasciata da Domenico Berardi ai microfoni del Corriere dello Sport. L'attaccante classe '94 ha parlato degli inizi della sua carriera, con l'addio alla Calabria per trasferirsi in Emilia, ma soprattutto ha parlato del suo futuro con il Sassuolo. Berardi ha infatti ammesso di sentirsi pronto da anni a lasciare i neroverdi, ma che non c'è mai riuscito a causa della mancanza di un accordo tra le parti chiamate in causa. Ecco i passaggi principali dell'intervista.
Sul possibile addio al Sassuolo:
"Sono a Sassuolo da quindici anni, nei primi non mi sentivo pronto a lasciare. Negli ultimi cinque o sei ho spinto per andare via. Per un trasferimento bisogna essere in tre ed è sempre mancato uno dei tre".
C’è stato un momento in cui ti sei sentito effettivamente in uscita?
"Sono sincero, sì. Prima di farmi male avevo trovato l’accordo con un grande club, le soluzioni erano state individuate. Tutte. Ma non chiedermi quale, tanto non te lo dico. Ti dico solo che era a strisce. Mi è dispiaciuto non poter fare la Champions, non poter giocare per gli obiettivi più alti. La Champions è qualcosa che vorrei provare da sempre".
Sei ancora in tempo:
"Passai un mese un po’ così, tra l’arrabbiato e il deluso. Prevalse la gratitudine nei confronti di questo club del quale mi sento e mi fanno sentire la bandiera. Non sono Totti, ma è ugualmente bello e importante".
In che senso non sei Totti?
"Sassuolo non è Roma, è una questione di dimensioni non solo calcistiche. La Roma è un top club".
Gasperini potrebbe leggere l’intervista, hai visto mai?
"Non so se ho il fisico per reggerlo".
Sul contratto col Sassuolo:
"Ho un contratto fino al ‘29, ma mai dire mai".
Ultimamente si è rivisto il vero Berardi:
"Non è stato facile. Rottura del tendine d’Achille dopo che ero appena rientrato da un intervento al menisco. Avevo rivisto la luce e sono riprecipitato nel buio totale. Le ho pensate tutte, per la prima volta ho temuto che fosse finita. Il professor Zaffagnini, a Bologna, mi ha aggiustato e dopo due mesi ho ricominciato a lottare. La famiglia mi ha aiutato parecchio. Sono rimasto fuori otto mesi. L’ultimo anno in B mi è servito, anche se - sono sincero - non ho fatto bene. Non ero al cento per cento. È stato utile per ritrovare il campo, la partita, la condizione".
Il VAR rappresenta una tutela maggiore per gli attaccanti?
"C’è più attenzione da parte di chi difende. La gomitata, il pugnetto tirato a tradimento vengono molto spesso individuati".
Gli allenatori più importanti della sua carriera:
"A Di Francesco devo tanto, ha avuto il coraggio di buttarmi nella mischia a diciassette anni. Grosso in questo calcio ci sta benissimo, è uno che si confronta, che ci ascolta. Ma mi sento tanto legato a De Zerbi. Con lui giocavamo col joystick. Maniacale, totalmente assorbito dal lavoro, poteva stare sul campo diciotto ore. Possesso stretto, a campo aperto, la tecnica con le sagome. Se sbagliavi un passaggio semplice e spedivi il pallone sul piede sbagliato del compagno, interrompeva l’allenamento. Insisteva fino a quando il pallone non arrivava al piede giusto. (Si ferma). Per noi si sarebbe buttato nel fuoco".
Sulla Nazionale:
"Riconquistarla da Sassuolo sarebbe magnifico".
Sull'Europeo vinto;
"Mancini riuscì a unire il gruppo ed era piacevole stare insieme. Finita la partita tornavamo a Coverciano, alle quattro di notte la spaghettata aglio, olio e peperoncino. Il pensiero della vittoria non ci aveva sfiorato. Ci provammo e andò bene. Con un po’ di fortuna".
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