L'importanza della maglia azzurra, il Mondiale 2006 e il suo attuale ruolo nell'Italia: Buffon si racconta

Gianluigi Buffon si racconta a Sports Illustrated. L'attuale capo delegazione dell'Italia, nonché il calciatore con più presenze con la maglia azzurra ed ex giocatore di Parma, Psg e Juventus, ha ripercorso la sua esperienza con la Nazionale, sia da giocatore che nella sua attuale veste. Tra i temi toccati c'è la preparazione ai playoff, il cammino di Germania 2006, il suo attuale ruolo con la Nazionale, i consigli a suo figlio ma anche racconti sulle emozioni provate durante l'inno, l'attuale scuola italiana di portieri e tanto altro.
Di seguito solo una parte delle parole di Gigi Buffon a Sports Illustrated.
"Ho iniziato questo nuovo ruolo da capo delegazione (della Nazionale, ndr), quello che prima era occupato da Gigi Riva e Gianluca Vialli. È un ruolo che mi si addice per le caratteristiche che ho e per le esperienze che ho maturato. Quindi sono lì in mezzo a fare da collento e passare certi passaggi, all'uno o all'altra componente, per trovare una quadra in modo che tutto vada nel miglior modo possibile".
"La maglia azzurra per me è qualcosa di molto profondo che va oltre lo sport, che va a toccare gli affetti, i racconti dei miei nonni sulla Prima e Seconda Guerra Mondiale, sulla loro determinazione di voler essere popolo. Significa porta avanti un patrimonio i miei genitori e le mie sorelle, secondo me è qualcosa che va al di là della semplice casacca e del semplice gioco del calcio. Durante l'inno ciò che mi emozionava maggiormente erano i racconti dei miei nonni, la bellezza del territorio italiano, del mare, le caratteristiche del popolo italiano".
"Nel 2010 avevo capito solo io dove stava andando il calcio (in una intervista del 2010 spiego in conferenza stampa che qualificarsi al Mondiale non sarebbe stato più tanto semplice, ndr), pensavano volessi accampare delle scuse. La verità è sotto gli occhi di tutti: non esistono le nazionali materasso o ci sono pochi casi, per il resto sono tutte selezioni competitive sotto tutti i punti di vista, con giocatori che fanno esperienza nei maggiori campionati nazionali e non c'è più il gap".
"Il calcio nell'ultimo decennio è cambiato tanto, sul campo è cambiato il modo di giocare, sono cambiati anche i modi di allenarsi perché la richiesta fisica è diversa. Soprattutto sono cambiati i ragazzi perché cambiano le generazioni, sotto alcuni aspetti sono migliori di noi perché sono più professionali, hanno dei comportamenti senza grandi eccessi, ma sono figli di questo tempo e quindi grande attenzione all'immagine e ai social. Li capisco perché sono nati con questi strumenti tra le mani e quindi concepiscono solo quel tipo di interesse. Il loro più grande interesse è quello di assicurarsi di esistere".
"Di questa generazione mi piace Donnarumma, mi piace vedere le sue parate. Mi piace vedere Courtois, ti fa vedere qualcosa di speciale. Poi c'è Szczesny che a Barcellona sta dimostrando di essere ancora ultra competitivo. Sono curioso di vedere ter Stegen come si riprende, Neuer non molla a quell'età. Poi mi piace vedere la scuola dei portieri italiani, secondo me siamo una scuola ancora molto forte, forse i migliori. Pensiamo che in questo momento storico abbiamo: Donnarumma, Vicario, Meret, Carnesecchi, Caprile, tutti portieri di grandissimo spessore che giocherebbero tutti in Champions League, e infatti ci giocano, a parte Caprile ma aspettiamo il prossimo anno, magari potrà giocarci".