L'approdo alla Juve, una smentita su CR7 e il Mondiale: parla Bernardeschi

Bernardeschi
Bernardeschi / Catherine Ivill - AMA/GettyImages
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Federico Bernardeschi ha fatto ritorno in Italia in questa stagione, ponendo fine all'esperienza in MLS, col sogno di tornare protagonista in Serie A e di arrivare a riassaporare anche la Nazionale azzurra, proprio in vista dell'anno del Mondiale (in caso di qualificazione, tutt'altro che scontata). Bernardeschi, oggi al Bologna, ha parlato a Passa al BSMT di Gianluca Gazzoli e si è soffermato su tanti aspetti del proprio passato. Questo quanto affermato:

Dalla Fiorentina alla Juve: "La Fiorentina mi ha dato tanto e non lo dimenticherò mai, è una cosa che non posso dimenticare, indipendentemente dalla scelta che ho fatto. La Juventus non era nemmeno l'unica squadra che mi stava cercando. Quando fai una scelta del genere, però, sei consapevole di ciò che può scatenare. Se fossi andato in un'altra squadra, forse ci sarebbe stato il 30-40% del clamore. Volevo anche ringraziare, perché alla fine la Fiorentina mi aveva portato fino a lì. A Firenze ho molti amici e sarò sempre grato alla città e alla società. Dieci anni dopo posso dirlo, ma in quel momento non avrei mai potuto farlo. Anche se l'avessi fatto, non sarebbe cambiato nulla per i tifosi viola. Mi hanno anche fatto uno striscione fuori dallo stadio, con parole dure. Ma è comprensibile. Lo accetti, te lo fai passare e vai avanti. Anche questo fa parte del processo di crescita" riporta Tuttosport.

Il certificato medico: "Sono stato il primo a lanciare la moda del certificato medico. Non mi presentai al ritiro, perché la trattativa non si sbloccava: la Fiorentina faceva storie, anche se la cosa era ormai fatta. Vuoi sempre far pensare che sia il giocatore ad aver fatto quel tipo di scelta, ma non è solo così. La Fiorentina voleva che mi presentassi per tre giorni in ritiro, ma io sapevo che mi avrebbero 'ucciso' se fossi andato. Così ho fatto uscire il certificato medico, proprio prima che la situazione si sbloccasse. Ma in realtà era una decisione condivisa tra tutte le parti: se uno non è d’accordo, la trattativa non si fa".

Che Juve trovò: "Venivano da quattro Scudetti consecutivi, la Juve in quel periodo era una squadra dominante e rappresentava la realtà più importante in Italia e una delle prime in Europa. Un’occasione incredibile anche per la mia crescita personale: mi sono confrontato con campioni veri. C'erano giocatori che avevano vinto di tutto, un ambiente che ti mette alla prova, e poi tocca a te. Mi sono trovato molto bene con il gruppo italiano: Buffon, che era una leggenda già durante la sua carriera, ma anche Chiellini, Barzagli e Marchisio, che mi hanno accolto in modo fantastico. Anche Khedira, Pjanic e Dybala. Funzionava tutto talmente bene che adattarsi è stato facile".

Il segreto della Juve: "La Juventus che ho vissuto si è sempre focalizzata molto sugli italiani e sulla loro presenza nel gruppo. Devono essere loro a portare avanti i valori del club, e il vero segreto della Juve era imparare queste regole, perché un giorno sarai tu a doverle trasmettere. I primi tre anni sono andati alla grande, e il cammino è proseguito in modo positivo".

Il percorso alla Juve: "Non è stato solo un cambio di allenatore, ma anche di visione a livelli superiori. Non sapremo mai esattamente cosa è successo, ma è una questione molto più grande e complessa. Quando arrivi a lavorare con un allenatore che non conosci, è come il primo giorno di scuola: ognuno ha le sue convinzioni, il suo stile e tu come giocatore devi adattarti a quello che hai davanti. E penso che lo stesso valga per l'allenatore. L’anno in cui ho giocato meno numericamente è stato con Pirlo. Ci sono state delle polemiche inutili, con la storia del 'rischia la giocata'. Per fortuna l'ho trasformata nel mio inno".

Gestire le critiche: "Nel momento del 'rischia la giocata' stavo male: ero il primo che voleva dare il massimo con la Juventus. È come togliere a un bambino la voglia di giocare. Venivo già da un anno pesante e questa cosa è esplosa poco prima di un Europeo. Tornando indietro, cercherei di non starci così male. Dovevo prenderla con più leggerezza. Mi colpevolizzavo da solo. Se me ne fossi fregato, sarei stato meglio per mesi. Ma io tengo troppo al mio lavoro, è la mia passione. Se ho mai cercato sostegno psicologico? Sì, avevo iniziato un percorso già tre anni prima, e lo seguo ancora oggi. Se capisci da dove arriva il problema puoi intervenire. Il fallimento fa parte della vita: bisogna analizzarlo, scavare dentro se stessi e non dare la colpa agli altri".

CR7: "Una persona straordinaria, umilissima, incredibile dentro lo spogliatoio. Sul giocatore non c’è nemmeno da parlare. Devi solo essere consapevole che è su un altro livello e non paragonare quello che fa lui a ciò che fai tu. Se lo accetti, non avrai problemi. Devi considerarlo quasi come un’azienda, più che un compagno. Entrando mi diceva sempre che ero 'l’italiano con stile', gli piaceva. Nel suo primo anno potevamo davvero vincere la Champions, purtroppo non ci siamo riusciti. Ma dire che CR7 abbia spaccato lo spogliatoio non è vero: sarebbe un alibi troppo grande. Certo, il personaggio è ingombrante, ma in campo si gioca in undici e la rosa è di venticinque".

Sogno Mondiale: "Sì che lo sogno, non l’ho mai disputato. Nella vita può succedere di tutto".