Fiorentina sull'orlo del baratro: perché uscire dalla crisi sembra un miraggio

Quando si tocca il fondo non resta che scavare, è noto, ed è chiaro che - fin dalla fase iniziale della stagione - la Fiorentina (intesa in ogni sua parte) si stia impegnando a farlo in profondità, regalando una visuale del tutto inattesa su scenari a priori insospettabili. In modo inesorabile, settimana dopo settimana, i possibili spiragli di rilancio e di reazione sono venuti meno e nel post-partita della sfida col Lecce - nelle espressioni dei calciatori e di Stefano Pioli - si esprime il senso di quanto accaduto dall'inizio di quest'annata.
Labirinto viola
Non è insolito che una squadra, alla prova del campo, regali risposte non in linea con le attese, non è raro che un monte ingaggi si riveli più elevato rispetto al livello di una rosa o che un investimento sia poco proficuo, al contempo succede che l'arrivo di un nuovo tecnico provochi una sorta di rigetto razionalmente inspiegabile. Diventa però mastodontica e insolita la prospettiva di 4 punti fatti su 30 a disposizione e di zero vittorie alla decima giornata: scenario alieno rispetto alla storia viola, scenario che si accompagna efficacemente a quanto prodotto sul campo (a livello di gioco, di occasioni e di continuità di rendimento).
La similitudine tra il momento viola e l'atto di scavare trova sponda, evidentemente, negli sviluppi degli ultimi giorni: le dimissioni di Pradè, obiettivo di contestazioni ormai da tempo, non hanno il sapore di una ripartenza e - anzi - generano un paradosso da cui è difficile tirarsi fuori. L'avventura viola di Pioli, la seconda, è ormai impossibile da raddrizzare e il mondo gigliato ha già espresso la propria sentenza in questo senso: l'assenza di un direttore sportivo, di una mente che sia "di calcio" all'interno della società, rende però un vero e proprio labirinto ogni riflessione sul domani.
Un punto di rottura
Il silenzio di Rocco Commisso fa il resto, un silenzio che - va da sé - presta il fianco a illazioni, supposizioni, idee più o meno fondate su chi questo club - in linea teorica - dovrebbe guidarlo. Un vuoto di potere, perlomeno all'esterno, fa rumore e cozza in modo lampante con l'approccio tenuto fin qui dalla proprietà, una gestione quasi familiare della società e non è un caso che Pradè fin dall'inizio sia stato l'uomo di fiducia, una sorta di guida per l'ingresso e l'ambientamento nel mondo del calcio (di persone che arrivavano da contesti del tutto alieni rispetto a quello del calcio europeo).
La stessa figura del compianto di Joe Barone rappresentava il proverbiale braccio destro della proprietà, la sua tragica scomparsa ha reso più traballante l'intero quadro dirigenziale, ha tolto un punto d'appoggio cruciale. Diventa dunque chiaro quanto, quello attuale, sia un punto di rottura per certi versi storico, valutando anche la percezione di Pioli all'interno del mondo viola: nessuna prospettiva di dimissioni, volontà di tener fede al ricco contratto e necessità conseguente di un braccio di ferro, di una trattativa. Un ribaltone che spinge anche a capire quanto, talvolta, il culto del "ritorno" e del "già noto" siano prospettive sinistre, meramente nostalgiche, svuotate di senso rispetto a un realtà e solido progetto sportivo da cui partire. Anche per questo le idee di ritorno di Palladino, al di là dell'addio di Pradè, possono far cadere di nuovo nello stesso scherzo, nell'illusione di rifugiarsi nel passato per costruire il domani.
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