Federico Macheda si racconta tra grandi aspettative e qualche rimpianto

Macheda esulta abbracciando Ferguson
Macheda esulta abbracciando Ferguson / Ryan Pierse/Getty Images
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Nel corso di un'intervista esclusiva rilasciata a Cronache di Spogliatoio si è raccontato Federico Macheda, raccontando i passi fondamentali della sua carriera dai momenti di felicità sino ai momenti più bui, dalle urla degli 80.000 di Old Trafford fino al baratro della Serie B e alla sua rinascita in Grecia.

''Avrei voluto vedere voi'', questo il titolo dell'intervista di Cronache, ed è proprio con queste parole che ''Chicco'' esordisce nel suo racconto, raccontando di un giovane 15enne che dalle giovanili della Lazio che incontra il grande Sir Alex Ferguson, principe dei diavoli che a detta di Macheda ''ti dà le chiavi del paradiso''. Sì, perché qualunque ragazzo sogni di diventare calciatore non può non stimare un uomo come Ferguson e tremare di paura al solo incontrarlo.

Macheda racconta così l'inizio della sua avventura: "Vorrei vedere cosa avreste fatto voi. Si presenta Ferguson e ti mette sul tavolo la 9 del Manchester United. Non la 91, non la 41. La 9. E accanto ci mette pure una maglia regalo di Cristiano Ronaldo. Chiunque, in quel momento, avrebbe visto cadere le proprie certezze. Specialmente se hai 15 anni e quello che stai vivendo ti sembra parallelo al mondo in cui ogni giorno rincorri il tuo sogno: diventare calciatore. Hai 15 anni, sei in Francia con la Nazionale e lo United batte 7-1 la Roma. Tu sei laziale e leggi “Rooney, Smith, Carrick…”, non puoi che sorridere. E poi al ritorno arriva Sir Alex - lo chiamo così, dopo vi spiegherò perché - e ti dà le chiavi del Paradiso"

Segue poi il racconto del primo allenamento: "Seduto a bordocampo sulle borracce, accanto alla panchina. Giggs, Piqué, Ferdinand, Scholes, Nani, tutti lì a lottare. Io vestito con i jeans e una felpa, profumato dopo la doccia. A un certo punto si fa male qualcuno, non ricordo chi, anche perché in quel momento ho iniziato ad andare in trepidazione. Tanto lo sapevo. Chiamarono me. ‘Dai, metti pantaloncini e scarpe, veloce’. Non toccai un pallone. Neanche mezzo. Ma quando finì la partitella andai da David: ‘Ho cambiato idea, resto’. Da quel momento è iniziata la mia Manchester>>

Federico Macheda, Zoran Tosic
Macheda in allenamento con lo United / Alex Livesey/Getty Images

Il futuro sembra sorridere al giovane attaccante italiano, ormai stabilmente nell'Academy del Manchester United e successivamente aggregato alla prima squadra. Federico è autorizzato a sognare, del resto se catapulti un giovane che sogna di diventare calciatore in una realtà piena di campioni internazionali è inevitabile che lui ci creda sempre di più in ciò che sta facendo. Chicco vive la prima svolta della sua vita calcistica il 5 aprile del 2009: Manchester United-Aston Villa, Macheda sostituisce Nani al 61', la partita è tesissima e ferma sul 2-2, ma nel finale a Macheda arriva una palla da Giggs, l'attaccante mette dentro e Old Trafford esplode, è 3-2.

Macheda racconta così il suo storico gol: "Ferguson mi fa entrare, faccio cadere Old Trafford. Mi sono chiesto spesso: ‘Chicco, ma quel gol lo segneresti ancora?’. Perché per voi è stato facile giudicare, a me invece sono serviti anni per inghiottire le pressioni, imparare a gestire la caduta di un ragazzo che aveva perso qualsiasi certezza. ‘Sì Chicco, lo segneresti altre 300.000 volte, perché quello che hai vissuto in quella settimana è unico, incredibile. Ti giri, salti Luke Young e la metti a giro sul secondo palo’. Boato. Ero solo un ragazzo della squadra riserve. A dire il vero conoscevo il destino della mia selezione, ma non seguivo così tanto i grandi del Manchester United. Al rientro negli spogliatoi gli altri festeggiavano, ma lo facevano in modo particolare. Esuberante, profondo. Venivano da me, mi abbracciavano, mi ringraziavano. Strano. Avevo segnato un gol fondamentale per la vittoria della Premier League e non lo sapevo".

Un gol del genere, in una squadra del genere e in quel tipo di scenario non possono non portarti ad un immediato successo. Macheda passa in poche ore da sconosciuto a eroe, guadagnandosi quei pregi che solo la fama ti può conferire, racconta così il suo repentino passaggio: "Con Davide Petrucci, anche lui italiano allo United, andammo come ogni maledetto giorno in quel mega centro commerciale. Così, per passare due ore, anche perché a Manchester non è che ci sia tanto da fare. Non feci in tempo a varcare le porte scorrevoli che due persone mi riconobbero. E poi cinque, dieci, venti, cinquanta. I negozi si svuotavano e una massa sempre più uniforme di gente si avvicinava. La mia prima reazione? ‘Cazzo’. Il giorno prima neanche mi facevano lo sconto, ora chiudevano per farsi la foto con me. In 24 ore. Anche se la fama qualche beneficio lo aveva. Ero 17enne e all’ingresso dei locali mi rimbalzavano sistematicamente. Aspettavo un gancio, qualcuno che dall’interno mettesse una mano sulla mia testa, come in un quadro divino, facendomi entrare. Invece niente, passavo le ore fuori fino a quando non mi veniva sonno. Io e i miei amici, in attesa, come accade agli sfigati. Fino a quel gol. Alla prima serata disponibile, gli stessi bodyguard che non mi facevano entrare si spintonavano per proteggermi fino al miglior tavolo del locale, con le migliori bottiglie e con tutto quello che ci si può augurare all’inizio di un sabato sera in discoteca".

Sei ottimi mesi con i grandi e un futuro che sembra essere più che roseo per Chicco. Il giovane però ha bisogno di giocare costantemente, lo sa lui e lo sa anche Ferguson. Il mister spinge per farlo restare in Inghilterra, Macheda spinge per andare in Serie A. Federico rifiuterà tutte le offerte, accettando la corte della Sampdoria pur di andare in Italia. A posteriori, Macheda darà ragione al suo mister numero uno, raccontando così il suo passaggio alla Samp: "Scelsi di tornare a casa, nel mio Paese, e firmai con la Sampdoria. Rifiutai qualsiasi destinazione. Solo che Pazzini venne ceduto e su chi ricaddero tutte le aspettative? Su di me. Un ragazzino che sì, veniva dallo United, ma che ne sapevo delle responsabilità? Non ho mai visto un 19enne che salva una società. La
scelta fu sbagliata, aveva ragione Sir Alex".

Federico Macheda
Macheda con la maglia della Sampdoria / Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Un anno deludente a Genova, con appena 16 partite e un solo gol in Coppa Italia per Macheda. Da qui comincia il suo declino. Anni di prestiti tra Inghilterra e Germania, dove non gioca tanto e segna poco. QPR, Stoccarda, Birmingham, Cardiff, Doncaster e Nottingham Forest e nel mezzo ancora le giovanili dello United, ma la sostanza resterà la stessa. Appena 29 le reti in quattro anni e un declino che sembra inesorabile. Dopo anni di cadetteria inglese, Macheda scende anche nella cadetteria italiana, firmando nel 2016 con il Novara. In due anni realizza appena 11 gol e si trova ad un punto morto della sua carriera, probabilmente il più basso.

Sembra essere finito nel baratro Macheda, rimasto svincolato dopo Novara. Ma la sua carriera a 29 anni è tutt'altro che conclusa. Oggi gioca nel Panathinaikos dove sembra aver ritrovato la sua dimensione e anche la via del gol, nei suoi anni ad Atene ad oggi ha giocato 90 partite segnando 35 gol e fornendo 9 assist. Una seconda vita calcistica per Macheda, che ha ancora tempo per cambiare il suo futuro e mantenere quelle aspettative che si erano create, certo di avere ormai un posto riservato nei ricordi del Manchester United.

Federico racconta così la sua rinascita: "A chiunque verrebbe voglia di salire sul primo treno che passa. Mi offrirono dei provini a Livorno e Padova. No, stavolta sarò io padrone della mia vita. Rifiutai. Un pazzo? Neanche per sogno. Mi chiamò Nikos Dabizas, il ds del Panathīnaïkos. Eccolo, un treno. Avevo paura che fosse l’ultimo. Lui di attaccanti se ne intende: era stato compagno del mio allenatore a Birmingham e, oltre ad aver vinto l’Europeo con la Grecia, è stato saltato da Bergkamp in uno dei gol più famosi nella storia di questo sport. Sì, lui era quel difensore. E io, di dribbling, me ne intendo. Chiedetelo all’Aston Villa. Mi chiamò tante volte per 2 settimane, e io mi ripetevo: ‘Devi convincerlo con le parole, assecondalo. Devi strappare per forza questa occasione’. Avevo assunto una mentalità vincente. E infatti ho vinto. Mi hanno chiesto: cosa non rifaresti? Non lo so, ma so cosa farei: quello che sto facendo adesso. Ora, quando scendo in campo, posso dire di non aver rimpianti. Se stai bene con te stesso, le cose vengono da sole".


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